Attualità

MANOVRA. Campiglio: «Ora serve un Fondo salva-famiglie»

Francesco Riccardi martedì 6 dicembre 2011
«Dopo il Fondo salva-Stati servireb­be un Fondo salva-famiglie, per­ché i costi economici e sociali ai quali i nuclei familiari andranno incontro sa­ranno molto alti. Tali da far saltare alcuni e­quilibri già precari». Luigi Campiglio, ordina­rio di Politica economica alla Cattolica di Mi­lano, considera questa manovra obbligata – dopo 30 anni di errori e riforme mancate – e in larga parte condivisibile. Ma al tempo stesso as­sai preoccupante nei suoi effetti sulla condi­zione reale delle famiglie italiane. Professore, la manovra appro­vata è efficace e soprattutto e­qua? La definirei ine­vitabile e, per il momento, effica­ce. Quanto all’e­quità, lascia a­perte diverse questioni. Cosa non va? L’imposizione troppo alta sulla prima casa? Non è in questione una singola misura, ma le modalità e il quadro complessivo. Di per sé un’imposizione sull’abitazione principale può essere giusta e utile. Ma andrebbe rapportata al reddito, perché, ad esempio, molti pensio­nati vivono in un’abitazione, magari ampia es­sendo quella nella quale hanno cresciuto i fi­gli, ma ora dispongono di assegni previden­ziali modesti e faranno fatica a pagare. Si poteva anche rapportare le imposte al nu­mero dei componenti il nucleo familiare... Certamente. È chiaro che le famiglie con figli, in particolare con più figli hanno necessità di maggiore spazio abitativo. Anche per questo di­co che non si può parlare di 'equità' se non si tiene conto della famiglia che è la dimensione base dell’equità. E non capisco cosa voglia di­re 'equità' se non c’è una stretta connessione con i principi costituzionali della capacità con­tributiva, della progressività, del sostegno alle famiglie. Per ora si prospetta il salvataggio delle detrazioni, comprese quel­le per i figli a carico, ma a prezzo di un aumento dell’Iva. Questo sarà dolorosissimo. Per salvare detrazioni, già di per sé in­sufficienti, rischiamo di farci dop­piamente male. L’aumento dell’I­va, infatti, si scaricherà sui prezzi generando inflazione. In uno stu­dio che ho appena condotto ho verificato come le famiglie del de­cile più basso di consumi, quelle più modeste, subiscano l’au­mento dei prezzi assai più delle famiglie del decile di consumi più alti, le più ricche. E questo perché spendono per beni di prima ne­cessità e ad alta frequenza di ac­quisto sui quali non ci sono prez­zi elastici o grandi sconti. E que­sto senza considerare che con il blocco degli adeguamenti calerà il potere d’acquisto dei pensio­nati sopra i 1.000 euro. Sul piano generale, poi, dall’avvento del­l’euro l’Italia ha registrato un in­cremento dei prezzi superiore dell’8% rispetto alla Germania e del 5% nei confronti della Fran­cia. Un ulteriore aumento dell’I­va porterà questo divario ad am­pliarsi, ai danni della nostra com­petitività e quindi della crescita economica. A proposito di crescita, la manovra contiene stimoli sufficienti? Le misure sull’Irap e sugli incentivi per le as­sunzioni di donne e giovani sono positive. Co­sì come tutto ciò che contribuisce a fornire li­quidità al sistema e ad evitare la stretta credi­tizia che può far fallire migliaia di im­prese. Ma sono provvedimenti che continua­no ad agire sul lato dei costi quando i nostri problemi sono altri. Il costo del lavoro nel set­tore manifatturiero in Italia è di circa 20 euro l’ora. In Germania e Francia è 30 euro. Ciò che fa la differenza è il valore aggiunto, la produt­tività. Cosa bisognereb­be fare allora? Capisco che non si potesse fare con questa manovra d’urgenza, ma oc­corre anzitutto fa­vorire le aggrega­zioni, la crescita e l’innovazione del­le nostre micro­imprese. Il 20% de­gli occupati da noi è nella cosiddetta 'classe 0', cioè in aziende con ze­ro o un dipendente. Secondo, prendere di petto la questione degli scarsi investimenti esteri in Italia. In rapporto al Pil sono ap­pena il 20% contro il 40% della Germania. Eppure, come abbia­mo visto il costo orario da noi è più basso, perché allora le im­prese estere non investono in I­talia? Probabilmente perché non si fidano, temono i tempi della nostra giustizia, la farraginosità delle nostre regole... Una perdita, perché la presenza di imprese e­stere favorisce concorrenza, in­novazione e crescita economica complessiva. Noi invece conti­nuiamo a esportare cervelli e a importare braccia, continuiamo a non combattere seriamente l’evasione fisca­le... Nella manovra, però, è previsto il nuovo limi­te per l’utilizzo del contante a mille euro... Sì, bene, ma non mi sembra risolutivo. Oggi ci sono almeno 5 grandi autorità e agenzie che hanno anagrafi e database impressionanti: So­gei, Inps, Agenzia del territorio, Banca d’Italia, l’Agenzia delle entrate che può 'leggere' di­rettamente nei conti correnti. I dati ci sono, le tecnologie informatiche pure, c’è potenzial­mente un Grande Fratello fiscale al quale non dovrebbe sfuggire neppure un capello. Usia­molo veramente contro l’evasione. Così come dobbiamo assolu­tamente regolare i mercati finanziari o l’Europa non u­scirà mai dalla cri­si. Sulle pensioni, però, è stata ope­rata una vera riforma struttura­le. Sì. Era inevitabile e giusto farlo. Ma attenzione perché proprio sulle pensioni stia­mo assistendo a un cambiamento profondo, con alti costi di transizione. È vero che si vive di più e bisogna lavorare più a lungo. Ma, so­prattutto per le donne, non si tiene conto di quanta parte di vita deve essere spesa nella cu­ra dei figli, dei nipoti e dei genitori anziani o di un disabile. E ancora: va bene il passaggio al contributivo. Ma per favore, quando sarà com­pletato, non consideriamole più 'prestazioni sociali' e non chiamiamole più 'pensioni' ma 'rendite' così come sono le polizze private per le quali 'tanto verso tanto riceverò'.