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Migranti. Commissione Ue: la Sea Watch non deve riportare i naufraghi in Libia

Redazione Internet e Ilaria Solaini giovedì 13 giugno 2019

(Foto d'archivio Ansa)

Dopo che la nave Sea Watch 3 si è opposta alla richiesta di riportare indietro e quindi respingere in Libia i 52 naufraghi salvati in mare, la Commissione Europea ha ribadito che la Libia non ha porti sicuri, di fatto smentendo la richiesta rivolta all'equipaggio della Sea Watch dal ministro dell'Interno.

"Tutte le navi con bandiera europea devono seguire le regole internazionali e sulla ricerca e salvataggio in mare, che significa che devono portare le persone in un porto che sia sicuro. La Commissione ha sempre detto che queste condizioni non ci sono attualmente in Libia" ha spiegato la portavoce della Commissione Ue Natasha Bertaud.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini - a colpi di Tweet - aveva affermato giovedì di aver chiesto alla nave Sea Watch 3, che mercoledì aveva soccorso 52 migranti in mare, di riportare tutte le persone a bordo della loro nave in Libia. «Se la nave illegale Ong disubbidirà, mettendo a rischio la vita degli immigrati, ne risponderà pienamente», aveva scritto Salvini su Twitter.

Va precisato che l’attività della Sea Watch 3 non è “illegale” come dichiarato dal ministro: lo scorso primo giugno la nave stessa è stata dissequestrata dalla Procura di Agrigento e dunque ha potuto riprendere il mare. Inoltre i migranti a bordo della nave, secondo quanto riportato dal personale medico della Sea Watch, non sarebbero in pericolo di vita come affermato da Salvini.

Alla luce di queste premesse e soltanto dopo i tweet del ministro italiano dell'Interno, nel primo pomeriggio la Ong Sea Watch, che controlla la nave Sea Watch 3, ha mostrato prova di una mail, intercorsa con la cosiddetta Guardia costiera di Tripoli.

Nella mail si legge l'offerta di Tripoli - che per la prima volta ha dato risposta - per un porto libico di approdo che continua a non essere e non avere le caratteristiche di un pos, place of safety come richiesto dalla Convenzione di Amburgo che regola i soccorsi in mare.

Per questa ragione, nel comunicato, la Sea Watch ha fatto sapere che non intende: «riportare coattivamente le persone soccorse in un Paese in guerra, farle imprigionare e torturare» poiché si tratterebbe di «un crimine». La motivazione della Ong? «Tripoli non è un porto sicuro» come documentato da numerose inchieste giornalistiche di Avvenire e di altre testate internazionali sugli abusi, le torture e le violenze commesse nei centri di detenzione libici dove vengono riportati i naufraghi, gli stessi da cui scappano. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato alla fine del 2018 e già acquisito dagli investigatori della Corte penale internazionale dell’Aja, le persone presenti nei centri di detenzione libici – a tutti gli effetti delle carceri di stato in cui vengono rinchiusi i migranti privi di documenti – sono ancora oggi sottoposti a "orrori inimmaginabili", documentati anche da Avvenire.

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Va ricordato che l'Italia era già stata condannato nel 2012 dalla Corte europea per i diritti umani per un caso di respingimento avvenuto nel 2009 quando a sud di Lampedusa, delle navi militari italiane intercettarono delle imbarcazioni con a bordo circa 200 migranti di origine eritrea e somala, tra cui bambini e donne in gravidanza, e, senza ricorrere ad alcuna procedura di riconoscimento, le reindirizzarono verso il porto di Tripoli, consegnandole alle autorità libiche. L'avvenimento è la prova che la Libia non ha porti sicuri poiché è un Paese che non possiede una normativa in materia di diritto d'asilo, non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra e le cui condizioni carcerarie sono pessime e rischiose da più punti di vista per i detenuti.

Al momento sembra che la nave Sea Watch in attesa di ricevere indicazioni per un porto sicuro stia continuando a zigzagare al confine delle acque italiane. Nelle prossime ore resterà da vedere dove potranno approdare i 53 naufraghi soccorsi, tra loro anche 5 minori.

I legali della Sea watch: querela a Salvini per diffamazione

I legali della Sea Watch, Alessandro Gamberini e Leonardo Marino, annunciano una querela per diffamazione nei confronti del ministro dell'Interno Matteo Salvini. "A seguito del soccorso di 53 naufraghi da parte della Sea Watch 3 - spiegano gli avvocati - il ministro Salvini ha rilasciato, ancora una volta, innumerevoli dichiarazioni diffamatorie a mezzo stampa insultando la Ong e l'operato della sua nave; operato che si sostanzia, sempre, in legittima attività di soccorso e salvataggio. Occorre precisare che le autorità libiche non hanno dato alcuna indicazione alla nave della ONG da noi rappresentata la quale ha rispettato la vigente normativa internazionale che, come oramai noto, vieta il trasbordo e lo sbarco in territorio libico".

"Il ministro - continuano Gamberini e Marino - sa bene che fare rientrare chi fugge da guerre, violenze e soprusi in un paese che non è qualificato come 'porto sicuro', in costante guerra civile, costituisce una gravissima violazione dei diritti umani, del diritto del mare e del diritto dei rifugiati".

Come si è svolta l'operazione di soccorso: in salvo 52 persone

Mercoledì "il nostro equipaggio ha concluso il soccorso di 52 persone da un gommone al largo della Libia, a circa 47 miglia di Zawiya. Alle 9.53, l'aereo di ricognizione Colibri aveva avvistato l'imbarcazione, informando le autorità competenti e la nave" aveva comunicato su Twitter la Ong tedesca Sea Watch.

"La cosiddetta guardia costiera libica - si leggeva in un altro tweet - successivamente comunicava di aver assunto il coordinamento del caso. Giunti sulla scena, priva di alcun assetto di soccorso, abbiamo proceduto al salvataggio come il diritto internazionale impone. I naufraghi sono ora a bordo della Sea Watch".

La nave Sea Watch, fa sapere la Ong in serata sempre via Twitter, "resta in attesa di indicazione di un porto sicuro, con richiesta inviata a Libia, Olanda, Malata, Italia. Una motovedetta libica, con mitragliatrice a prua, è sopraggiunta a trasbordo ormai concluso e ha stabilito contatto radio senza fornire indicazioni. Ha poi lasciato l'area".

Se la Sea Watch 3 farà rotta verso l'Italia sono pronti "i nuovi strumenti del decreto sicurezza bis, per impedire l'accesso alle nostre acque territoriali". Lo dice il ministro dell'Interno Matteo Salvini, sottolineando che l'imbarcazione della Ong tedesca "è una vera e propria nave pirata a cui qualcuno consente di violare ripetutamente la legge".

1.151 morti in un anno. La denuncia delle Ong

Ad un anno dall'annuncio del governo italiano di chiudere i propri porti alle navi umanitarie almeno 1.151 persone, uomini, donne e bambini, sono morte, e oltre 10.000 sono state riportate forzatamente in Libia, esposte ad ulteriori ed inutili sofferenze. Lo scrivono Sos Mediterranee e Medici senza frontiere che chiedono di garantire con urgenza un sistema di ricerca e soccorso in mare adeguato, "compreso un coordinamento delle autorità competenti nel Mar Mediterraneo, per evitare morti inutili".

"La risposta dei governi europei alla crisi umanitaria nel Mar Mediterraneo e in Libia è stata una corsa al ribasso" sostiene Annemarie Loof, responsabile per le operazioni di MSF. "Un anno fa abbiamo implorato i governi europei di mettere al primo posto la vita delle persone. Abbiamo chiesto un intervento per mettere fine alla disumanizzazione delle persone vulnerabili in mare per finalità politiche. Invece, ad un anno di distanza, la risposta europea ha raggiunto un punto ancora più basso".

Da quando è stato bloccato l'ingresso nei porti italiani alla nave di ricerca e soccorso Aquarius, gestita da Sos Mediterranee in collaborazione con Msf, esattamente un anno fa, "lo stallo è diventato la nuova regola nel Mar Mediterraneo centrale, con oltre 18 incidenti documentati", fanno sapere le due organizzazioni. Questi blocchi si sono protratti per un totale di 140 giorni, ovvero più di 4 mesi in cui 2.443 uomini, "donne e bambini sono rimasti trattenuti in mare mentre i leader europei decidevano il loro futuro. La criminalizzazione del salvataggio di vite in mare non solo porta conseguenze negative per le navi umanitarie, ma sta erodendo il principio fondamentale del prestare assistenza alle persone che si trovano in pericolo. Le navi commerciali, e addirittura quelle militari, sono sempre più riluttanti nel soccorrere le persone in pericolo a causa dell'alto rischio di essere bloccate in mare e di vedersi negato lo sbarco in un porto sicuro. Per le navi mercantili che effettuano un salvataggio, in particolare, diventa estremamente complicato rimanere bloccati o essere costretti a dover riportare le persone in Libia, in contrasto con il diritto internazionale".

Solo nelle ultime 6 settimane, un numero crescente di persone ha cercato di fuggire dalla Libia, con oltre 3.800 persone che sono salite a bordo di imbarcazioni insicure per tentare l'attraversata. Anche se l'UNHCR e altre organizzazioni come MSF hanno chiesto un'evacuazione umanitaria di rifugiati e i migranti dalla Libia dall'inizio del conflitto a Tripoli, la realtà, dicono le organizzazioni umanitarie, è che per ciascuna persona che viene evacuata o trasferita nel 2018, più del doppio viene riportato forzatamente in Libia dalla Guardia costiera libica.

"L'assenza di navi umanitarie nel Mediterraneo centrale in questo periodo mostra l'infondatezza dell'esistenza di un fattore di attrazione - dichiara Frédéric Penard, direttore delle operazioni di Sos Mediterranee - la realtà è che anche con un numero sempre minore di navi umanitarie in mare, le persone con poche alternative continueranno a provare questa attraversata mortale a prescindere dai rischi. L'unica differenza, ora, è che queste persone corrono un rischio quattro volte maggiore di morire rispetto all'anno scorso, secondo l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni".

Emergenza in mare anche tra Marocco e Spagna

E la Guardia costiera spagnola è alla ricerca di due imbarcazioni a bordo delle quali si trovano, complessivamente, 111 migranti. "Una viaggia con 53 persone a bordo, l'altra con 58, tutte di origine sub-sahariana", ha detto un portavoce. L'allarme era stato lanciato dall'ong Walking Borders, ma le condizioni meteorologiche non buone hanno ostacolato l'individuazione delle imbarcazioni, che si troverebbero nell'area di mare tra Spagna e Marocco. Dall'inizio dell'anno almeno 8.056 migranti sono arrivati via mare in Spagna, a bordo di 286 imbarcazioni, secondo un rapporto del 2 giugno scorso del ministero dell'Interno spagnolo (6,6% in meno rispetto al 2018 nello stesso periodo).