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Veneranda Fabbrica del Duomo. La Curia di Milano smentisce L'Espresso: articolo approssimativo e offensivo

Lorenzo Rosoli venerdì 29 gennaio 2016
«La Veneranda Fabbrica del Duomo è ente autonomo dalla diocesi di Milano, la cui gestione compete al Consiglio di amministrazione, sotto la vigilanza del Ministero dell’Interno. L’arcivescovo di Milano, nella Veneranda Fabbrica, nomina due componenti del consiglio di amministrazione, e se richiesto, offre un parere sugli altri cinque membri nominati dal Ministero dell’Interno». A chiarirlo è don Davide Milani, il portavoce del cardinale Angelo Scola, con un comunicato diffuso in replica ad un articolo del settimanale "L’Espresso", uscito ieri. Nel servizio intitolato "Scola e l’ombra nera sui cantieri del Duomo" si riferisce di una presunta indagine penale relativa ad una vicenda segnalata alla Guardia di finanza da una lettera anonima, secondo la quale la gestione di «fondi Expo» per i restauri sarebbe stata opaca. Nell’articolo Scola viene etichettato come «arbitro e custode» della Veneranda Fabbrica, lo storico ente preposto alla conservazione e valorizzazione del Duomo, istituito nel 1387 dal duca di Milano Gian Galeazzo Visconti (e non, come si legge sull’"Espresso", da Francesco Sforza, che verrà al mondo nel 1401 e sarà duca di Milano dal 1450). Il settimanale punta poi la sua attenzione sulla Fondazione Don Gnocchi dove «i conti non tornano e il contratto nazionale, dopo picchetti e scioperi in tutte le sedi, è stato disdetto per risparmiare», scrivono gli autori del servizio Michele Sasso e Alberto Vitucci. Ebbene: «La Fondazione Don Gnocchi – spiega don Milani – è una persona giuridica privata, con la qualifica di Onlus, la cui gestione compete al Consiglio di amministrazione, sotto la vigilanza del Ministero dell’Interno e del Ministero del Lavoro. Il ruolo dell’arcivescovo di Milano nella Fondazione è circoscritto alla nomina di due componenti del consiglio di amministrazione su sette». Il portavoce di Scola, sempre «al fine di consentire un giudizio rispettoso della verità», replica anche all’ultima parte dell’articolo, nella quale si vanno a rivangare – se preferite: a ripescare, trattandosi di vicende riferite agli anni di Scola da patriarca di Venezia – questioni già chiarite «in dettaglio nel comunicato del 16 giugno 2014, leggibile su IncrociNews ». In quel comunicato si spiegava come «i fondi pubblici erogati per la realizzazione di opere nella diocesi di Venezia durante gli anni del ministero episcopale del cardinale Scola sono stati erogati in conformità alla legge e analiticamente rendicontati. In particolare si precisa che il "palazzo" citato nell’articolo, indicato come "la dimora" del cardinale Scola, il Patriarchio, è stato a suo tempo ristrutturato per ospitare, oltre al patriarca, una decina di sacerdoti del Capitolo di San Marco, gli Uffici della Curia e quelli della Procuratoria della Basilica di San Marco». «Per la grave approssimazione nella presentazione dei fatti e il carattere fortemente offensivo delle insinuazioni contenute nell’articolo – conclude don Milani – il cardinale Scola si riserva di tutelare la propria reputazione nelle sedi più opportune».