Attualità

Catania. Nave Diciotti, chiesta autorizzazione a procedere per Salvini

Vincenzo R. Spagnolo giovedì 24 gennaio 2019

Migranti in attesa di sbarcare dalla nave Diciotti nel porto di Catania (giugno 2018)

La catena di comando che avrebbe dovuto gestire l’assegnazione di un porto sicuro per i 177 migranti salvati dalla nave Diciotti risultava «paralizzata» in attesa delle determinazioni politiche del ministro. È quanto scrivono i giudici del Tribunale dei ministri di Catania, nella «domanda di autorizzazione a procedere in giudizio» inviata al Senato a carico del leader leghista, «ai sensi dell’articolo 96 della Costituzione». Un pronunciamento che dunque non ha accolto la richiesta motivata di archiviazione della Procura della Repubblica del capoluogo etneo, disponendo invece altre «indagini preliminari» affidate ai carabinieri e infine propendendo per la fondatezza della «notizia criminis». Una decisione che il ministro ha commentato in diretta Facebook: «Ci riprovano, torno a essere indagato per sequestro di persona, aggravato e di minori, con una pena prevista da 3 a 15 anni... Ora la parola passa al Senato e ai senatori che dovranno dire sì o no, a processo o no...». Dunque, toccherà a Palazzo Madama pronunciarsi: mercoledì la Giunta per le immunità parlamentari, presieduta da Maurizio Gasparri, incardinerà il fascicolo e, secondo regolamento, entro 30 giorni dovrà trasmettere il suo parere all’aula. A quel punto, sarà l’Assemblea a dover votare, presumibilmente entro fine marzo.

L’ira dell’Anm: magistrati derisi. Ieri, in diretta su Fb, il ministro ha insistito sulla linea di chiusura dei porti: «Lo ammetto, lo confesso e lo rivendico, ho bloccato lo sbarco. E mi dichiaro colpevole dei reati nei mesi a venire, perché non cambio. Rispetto il lavoro dei giudici, ma serve chiarimento». E ancora: «Chiedo agli italiani se devo demandare a questo o a quel tribunale le politiche dell’immigrazione». Considerazioni che l’Associazione nazionale magistrati ritiene «irrispettose verso i colleghi nei toni di derisione utilizzati e nei contenuti», avvertendo che «il rischio di una delegittimazione della magistratura è alto e va assolutamente evitato».

I giudici: abuso delle funzioni di ministro. Ad agosto, per la vicenda Diciotti Salvini era stato indagato (inizialmente insieme al capo di gabinetto del Viminale Matteo Piantedosi) dai pm di Agrigento per sequestro di persona aggravato, abuso d’ufficio e arresto illegale. L’inchiesta era poi stata trasferita prima a Palermo e quindi a Catania, per competenza territoriale. A novembre, il capo della procura etnea Carmelo Zuccaro aveva chiesto al Tribunale dei ministri l’archiviazione, in quanto «il ritardo nel fare scendere i migranti dalla nave Diciotti è giustificato dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale». Ma il collegio dei giudici (Nicola La Mantia, presidente, Sandra Levanti e Paolo Corda) non è stato d’accordo, ritenendo anzi che il senatore Matteo Salvini «nella sua veste di ministro e pubblico ufficiale, abbia abusato delle funzioni amministrative attribuitegli». L’obbligo di salvare la vita in mare, scrivono i giudici, «costituisce un preciso dovere degli Stati» e le Convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito «costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato» e non possono essere derogate da «valutazioni discrezionali dell’autorità politica». Invece, secondo il tribunale, nell’ambito delle procedure per trovare un luogo sicuro («place of safety» o Pos) per lo sbarco di circa 170 migranti, Salvini poneva «arbitrariamente il proprio veto all’indicazione del Pos da parte del competente dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione», determinando «la forzosa permanenza dei migranti a bordo della Diciotti, con conseguente illegittima privazione della loro libertà personale».

La sfida sui social e i malumori dentro M5s. Come aveva fatto a settembre, in occasione dell’apertura dell’indagine a suo carico, Salvini ha letto via Facebook stralci dell’atto dei magistrati, seduto nel suo ufficio al Viminale, incassando la solidarieta della leader dell’estrema destra francese Marine Le Pen e il plauso dei suoi sostenitori (che hanno fatto salire l’hashtag #salvininonmollare in testa ai commenti su Twitter): «Non siamo su Scherzi a parte o su Lercio. Io sono wanted... – ironizza Salvini –. Ora i senatori dovranno dire sì o no». Ma in seno a M5s, c’è malessere: «Se fosse coerente – osserva la senatrice pentastellata Elena Fattori –, Salvini rinuncerebbe all’immunità parlamentare e si farebbe processare». Salvini non si scompone: «Sono sicuro del voto dei senatori della Lega. Vediamo come voteranno gli altri e se ci sarà una maggioranza al Senato».