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Il ministro dell'Interno. Salvini: l'accoglienza costa troppo, taglieremo i fondi

Diego Motta sabato 2 giugno 2018

Il pugno duro e una carezza. La ruspa e i primi segnali di dialogo. Il primo giorno di Matteo Salvini da ministro dell’Interno è un tentativo di sintesi tra tante contraddizioni: la fine ufficiale della campagna elettorale e l’inizio di un nuovo incarico, il passaggio dagli slogan all’azione di governo, il bisogno di trovare alleati (non solo nel Palazzo) dopo tante promesse e minacce che hanno finito per alimentare nuove preoccupazioni nei territori.

Tutto ruota, manco a dirlo, intorno al tema dell’immigrazione, cavallo di battaglia del leader della Lega che, dopo comizi e annunci a effetto, ieri per la prima volta ha lanciato messaggi di apertura, complice forse la nuova veste istituzionale. «L’accoglienza? Nei limiti, nelle regole e nelle possibilità, penso sia interesse di tutti» ha spiegato Salvini, a chiusura di un ragionamento sui suoi rapporti con la Chiesa. «Ho iniziato a coltivare utili e numerosi rapporti con diversi esponenti del mondo cattolico: lavoreremo assieme, vi stupiremo, troveremo decisamente convergenze» ha detto al termine del suo pomeriggio di festa.

La sforbiciata ai finanziamenti
È un primo cambiamento di tono, da verificare alla prova dei fatti visto che, fatta salva la forma, gli obiettivi da raggiungere su migranti, accoglienza e integrazione non cambiano. Così, se l’esponente lumbard ripete che con il mondo cattolico «ci sono molte più vicinanze che distanze», i contenuti rispondono sempre alla linea di "tolleranza zero". Tra l’ultimo comizio di Sondrio giovedì sera (ad accordo sul nuovo governo già raggiunto) e le passeggiate romane di ieri, Salvini ha ribadito le priorità del suo ministero: taglio netto ai 5 miliardi di euro destinati all’accoglienza, meno arrivi e più espulsioni. «La questione immigrazione è ancora calda. Chiederò come migliorare la situazione degli sbarchi» ha detto annunciando che domani sarà in Sicilia. «Vorrei fare Catania, Modica, fino a Pozzallo, dove sono sbarcati ultimamente. Ora la situazione è calma ma solo perché c’è il mare grosso. Farò il ministro per metà in ufficio e per metà in piazza». Da ultimo, una promessa alla Comunità di Sant’Egidio sui corridoi umanitari. «Mai detto di no» precisa.


I timori sui profughi in strada
Il punto è che, a fronte delle proposte di cambiamento del Viminale, corrispondono timori neanche tanto velati da parte degli enti locali e del terzo settore. Giuseppe Sala, sindaco di Milano, guarda alle prossime mosse di Salvini e prevede che «su alcuni temi che gli sono cari, Salvini partità in maniera incisiva. Bisognerà vedere e capire quali saranno le azioni al di là degli slogan dei primi giorni. Io parlo con tutti, ma difendo gli interessi della mia città».

La paura riguarda soprattutto i percorsi di integrazione già avviati con gli Sprar, i centri gestiti dai Comuni, che puntano a modalità di ospitalità diffuse e con numeri limitati. Sono la risposta alle strutture prefettizie (i Cas) e vengono indicati come il modello da seguire nella Carta della Buona accoglienza siglata da Anci, ministero dell’Interno e mondo cooperativo durante l’ultima legislatura. Proprio dal terzo settore arrivano dubbi sul fatto che «dimezzare i fondi per l’accoglienza altro non significa che chiudere tanti progetti e rimandare in strada i richiedenti asilo. Lo stesso vale per i proclami sui rimpatri di massa: i costi sarebbero di gran lunga superiori rispetto all’ospitalità».

Secondo Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana, la riduzione dei fondi annunciata dal nuovo esecutivo difficilmente potrà «sostanziarsi in attività di riduzione dell’accoglienza» perché si tratta di rispettare «uno degli obblighi internazionali. I veri giudizi potranno essere dati solo alla prova dei fatti».

Nell’attesa, dai territori la reazione di governatori e sindaci del Pd è già arrivata. Su tutti, va segnalata quella del governatore della Toscana, Enrico Rossi. «Siamo a pronti a chiedere l’autonomia nella gestione dell’immigrazione – ha detto –. Non vogliamo più immigrati degli altri, però se li avessimo gestiti "alla toscana", secondo i nostri principi, e se l’accoglienza non fosse stata affidata ai soli prefetti, penso che gli immigrati avrebbero avuto un’attività lavorativa e si sarebbero così inseriti meglio». Parole che confermano come il confronto tra i territori e il nuovo inquilino del Viminale sia appena iniziato.