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Medicina. Covid, tumori, infarto, diabete. «Ecco l’arma contro i big killer»

Lucia Bellaspiga mercoledì 2 novembre 2022

«Gli antinfiammatori riducono del 90% l’ospedalizzazione: dopo due anni e mezzo di Covid la comunità scientifica concorda sul fatto che ad uccidere i malati non è il virus ma l’infiammazione». Questo il 25 agosto 2022 scriveva la rivista scientifica Lancet in uno studio firmato dall’Istituto Mario Negri e dall’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Ma si era in piena campagna elettorale e la pubblicazione, squisitamente scientifica, veniva subito cavalcata in chiave anti governativa e no vax, costringendo lo stesso Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri, a smentire ogni strumentalizzazione: «Appena la loro efficacia è risultata evidente, l’Italia è stata il primo Paese al mondo a introdurre gli antinfiammatori».

Se ad ucciderci è la “troppa difesa”
«Ora che le elezioni sono avvenute, possiamo tornare a parlare di scienza?», ironizza Fulvio Ursini, professore emerito di biochimica all’università di Padova, che proprio ad Avvenire già nel settembre 2020, due anni prima dell’articolo di Lancet, aveva rivelato che a incidere sulla gravità e sulla mortalità non era il virus (infatti estremamente eterogeneo nei suoi aspetti clinici, che vanno dalla completa mancanza di sintomi alla morte) ma l’infiammazione incontrollata di alcuni individui, ossia l’esagerata autodifesa dell’organismo di fronte all’attacco.

L’infiammazione, insomma, è sì indispensabile alla vita in quanto elemento cardine dei meccanismi con cui affrontiamo l’aggressore esterno, ma – se non controllata – diventa portatrice di un danno severo (ad esempio le famigerate polmoniti bilaterali interstiziali da Covid).

«Lo studio di Lancet conferma con i dati quanto allora io affermavo sulla base di una biologia conosciuta da tempo», spiega oggi Ursini. In pratica il problema è che alcune persone a differenza di altre quando sono attaccate dal virus rispondono in modo sproporzionato all’offesa. È ciò che il biochimico aveva illustrato utilizzando la metafora dell’estintore difettoso: in alcuni individui non si disattiva più, per cui alla fine muoiono non per l’incendio ma soffocati dalla schiuma ignifuga.

Il segreto del perfetto equilibrio

Ma oggi il professor Ursini va oltre, tirando le fila della ricerca scientifica sul Covid per poi allargare lo sguardo a 360 gradi: siamo tutti abituati a considerare solo i primi due livelli della lotta all’aggressore, ovvero il distanziamento (lockdown, mascherine) e la resistenza (sistema immunitario, farmaci e vaccini); ciò che non è mai stato preso abbastanza in considerazione è il terzo livello, quello della tolleranza, ovvero la capacità di evitare gli eccessi della difesa e quindi di convivere con l’intruso: «Quasi tutti gli studi infatti fanno riferimento solo ai vaccini e ai farmaci, come se la resistenza fosse l’unica strategia anti virale. Trascurano invece la anti-infiammazione, che è una funzione fisiologica naturale del nostro organismo». In pratica è il nostro stesso organismo che sa (dovrebbe sapere) equilibrare infiammazione e anti-infiammazione: chi non lo fa in modo ottimale evolve dal semplice contagio alla malattia grave.

È questo il contesto della “biologia della salute”, area culturale molto attuale, che ambisce a capire non come ci curiamo ma perché ci ammaliamo (nel caso del Covid perché nello stesso nucleo familiare il virus lascia indenni alcuni e uccide altri). È vero, insomma, come scrive Lancet, che un farmaco antinfiammatorio è utile nelle fasi iniziali del Covid, spiega il biochimico, «ma desiderabile e opportuno sarebbe anche avere un organismo perfettamente capace di modulare la risposta evitando eccessi, come accade alle persone che pur contagiate convivono tranquillamente con il virus in quanto “tolleranti”».

Biologicamente questo equilibrio si rifà al noto concetto di omeostasi (dal greco omeo-stasis, stabilità, invariabilità), la capacità degli organismi di conservare le proprie caratteristiche a fronte del variare delle condizioni esterne (un variare che comprende tutto, virus, batteri, invecchiamento, inquinamento, variazioni climatiche, stress, insomma, il “logorio della vita moderna”). Di nuovo serve una facile metafora: «Pensiamo a un rematore su una barca che, per rimanere fermo nel punto in cui si trova, deve remare contro la corrente»: basta che aumenti la corrente o diminuisca la forza del rematore e la barca se ne va inesorabilmente (ci ammaliamo). Il che, fuor di metafora, significa che «per restare sani, cioè uguali a noi stessi nonostante gli attacchi esterni, occorre energia».

Tanti nemici, una risposta

La regola non è valida solo per il Covid, ma per domare i “big killer” delle società occidentali, dai tumori alle malattie cardiovascolari al diabete: a combatterli non dovrebbero solo essere i farmaci che corriamo a prendere quando ormai siamo ammalati, ma la capacità innata del nostro organismo di prevenire via via ogni alterazione e ripristinare l’equilibrio (l’omeostasi). Utopia? No, gli strumenti esistono, e sono un insieme di “stili di vita” atti ad evitare l’accumulo energetico e quindi la perdita del controllo sull’infiammazione.

Infatti una causa ben conosciuta di scarso controllo dell’infiammazione è l’introito eccessivo di calorie che poi non bruciamo, esattamente come un motore si ingolfa se gli arriva più benzina di quanta ne possa bruciare in quel momento. «L’attività fisica e un’alimentazione che limiti le calorie sono i presìdi anti-infiammatori che riducono fortemente l’incidenza delle principali malattie dei nostri giorni, Covid incluso», conferma lo scienziato. Insomma, se la cavano le persone che, grazie a stili di vita giusti, sanno meglio ripristinare l’omeostasi che sia stata turbata, diventando “tolleranti”, quindi capaci di eliminare l’agente perturbante oppure di conviverci. A questo riguardo, non è escluso che anche Sars-Cov2 possa presto aggiungersi alla schiera dei 3 milioni 800mila miliardi di virus con cui già conviviamo.

Noi, preistorici con troppe calorie

Ma quali sono invece i principali ostacoli alla tolleranza? Prima di tutto l’età, visto che con il passare degli anni siamo sempre meno capaci di spegnere le risposte infiammatorie. E poi il fatto che l’alimentazione tipica del mondo occidentale «non è più congrua al nostro organismo, che evoluzionisticamente è fermo a millenni fa – sottolinea Ursini –. In estrema sintesi, noi oggi assumiamo troppa energia e non riusciamo a smaltirla, mentre nella preistoria i nostri antenati accumulavano solo quella necessaria per far fronte ai ripetuti periodi di carestia, e la loro risposta infiammatoria era quella sufficiente al mantenimento della salute». Loro per sfamarsi faticavano, cacciavano, raccoglievano vegetali, e se non ne trovavano digiunavano. Noi apriamo il frigo. Loro assumevano dalla natura una grande varietà di sostanze vegetali, le nostre filiere industriali della nutrizione le hanno spesso dimenticate, così abbiamo perso per strada molti degli elementi capaci di controllare proprio l’eccesso di infiammazione e l’invecchiamento, come i polifenoli e i glucosinolati contenuti in frutti, verdure, erbe, spezie. «In termini sia qualitativi sia quantitativi, mangiamo e viviamo male».
Ecco allora spiegata un’altra evidenza dei primi tempi del Covid, quando notavamo che il virus mieteva vittime soprattutto tra anziani, obesi e diabetici (persone accomunate da un eccesso di infiammazione), «un dato perfettamente in linea con tutte queste considerazioni», conclude Ursini.

La scienza e la “pietra filosofale”

In sintesi, cosa dobbiamo fare? «Una nutrizione non troppo calorica, l’assunzione costante di vegetali regolatori dell’infiammazione, un esercizio fisico anche modesto ma costante, ed eventualmente l’ausilio di integratori contenenti i princìpi presenti per esempio in broccoli, cavoli, verze, rucola, o nelle cipolle e nell’aglio, nelle mele, nei cachi, nell’uva, nel vino ecc., sono i quattro ingredienti contro i nemici dell’omeostasi», la versione scientifica della leggendaria “pietra filosofale” invano cercata dagli antichi alchimisti come elisir di lunga vita e panacea da tutti i mali.

Il biochimico e professore emerito dell'univertsità di Padova, Fulvio Ursini - .