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Sdegno. Memoria Shoah, rubate 20 «pietre d'inciampo» a Roma

lunedì 10 dicembre 2018

Il selciato dove è stata strappata la targa alla memoria degli ebrei deportati e uccisi (Ansa)

A chi fa paura la memoria? A chi dà fastidio che si ricordi, decenni dopo, dello sterminio degli ebrei italiani? Domande d'obbligo di fronte al furto di 20 pietre d'inciampo, avvenuto nella notte a Roma, in via Madonna dei Monti 82. Le pietre sono piccole targhe in ottone della dimensione di un sampietrino (10 x 10 centimetri), poste davanti alla porta della casa in cui una vittima del nazismo o nel luogo in cui fu fatta prigioniera, sulle quali sono incisi il nome della persona, l'anno di nascita, la data, l'eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta. Un "inciampo", dunque, non tanto fisico, quanto visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino.

Le pietre d'inciampo rubate erano state poste nel 2012 a ricordo di 20 membri della famiglia Di Consiglio, deportati e mai tornati dai campi di sterminio.

Unanime lo sdegno per il furto. "Un atto grave e preoccupante. In attesa che le forze dell'ordine facciano luce sulle responsabilità, sia chiaro a tutti che la memoria non si cancella", ha scritto su Twitter la presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello.

Chi erano i Di Consiglio, una famiglia sterminata

È una storia particolarmente tragica quella della famiglia Di Consiglio di cui hanno fatto parte le 20 persone cui erano dedicate le pietre d'inciampo rubate in Via Madonna Dei Monti, a Roma. Mosè e Orabona Di Consiglio avevano dieci figli, tra i quali Ester, madre di Giulia Spizzichino, che dopo la morte dei suoi cari sostenne il testimone della loro terribile fine.

Il figlio maggiore di Mosè, Salomone detto Pacifico, viveva a San Lorenzo, ma la casa venne distrutta dal bombardamento del 19 luglio del 1943, costringendolo a spostarsi con la moglie Gemma Di Tivoli e i nove figli in via Madonna dei Monti, dove vivevano e avevano il negozio i suoi genitori.

Dopo il rastrellamento del 16 ottobre del '43, la famiglia di Giulia si nascose in via Guido Reni, ma a causa di uno strano episodio con un ufficiale nazista, si spostò dalla zia Gemma al Rione Monti, di fronte ai nonni.

La notte del rastrellamento, le due nuore di Mosè, Celeste ed Enrica con i loro bambini si erano fermate a dormire a casa delle rispettive madri in piazza Giudia e vennero prese nella razzia. Due giorni dopo, con gli altri oltre mille ebrei romani, vennero mandati ad Auschwitz; Celeste e i bambini vennero uccisi all'arrivo, mentre Enrica morì successivamente.

I mariti Cesare e Graziano si salvarono dal rastrellamento, ma Cesare fu ucciso alle Fosse Ardeatine mentre Graziano, preso per strada, si ritrovò a Fossoli con il resto della famiglia, arrestata su delazione il 21 marzo del 1944. I sei uomini, Mosè, Franco, Marco, Santoro e Salomone Di Consiglio con Angelo Di Castro, marito dell'altra figlia, Clara, morirono anche loro alle Fosse Ardeatine. L'altro zio di Giulia, Leonello, marito della zia Gemma, venne preso a maggio.