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Dopo Torino. Roccella: «Fanno di me la nemica da odiare. Schlein non li legittimi»

Francesco Ognibene mercoledì 24 maggio 2023

Quando ha visto il personale di sicurezza del Salone del Libro prepararsi a portar via le ragazze che occupavano lo spazio dove avrebbe dovuto parlare, ha reagito da «vecchia radicale» – come si definisce sorridendo – e gli ha chiesto di lasciarle al loro posto. Dove poi sono rimaste per ore, impedendole di prendere la parola, tra urla e cori. Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, ne ha viste tante, ma è ancora segnata dal fattaccio di sabato. Per quel che significa, anche più che per la vicenda in sé.
Di cosa è segno l’episodio di Torino?
Di una sempre minore libertà di pensiero e di espressione: alcune cose non le puoi più dire, e nemmeno pensare. Nel mio passato, anche recente, ho fatto battaglie molto più accese, ma c’era ancora un confronto possibile. Di fronte alla contestazione fatta da un gruppo relativamente piccolo di persone, sebbene molto dura, mi sarei aspettata che ci fosse una solidarietà unanime, all’insegna del motto volteriano per cui anche se non sono d’accordo con le tue idee resto disposto a battermi perché tu le possa esprimere. Qui invece è stato detto che il dissenso va bene anche quando è censorio. Ma in democrazia la libertà di pensiero e di parola è sacra.
Cosa fa riflettere di più di quel che è accaduto?
Quella di Torino non è stata una semplice contestazione, che avrei capito, tanto che con tutta la gentilezza che mi ha insegnato mia madre ho invitato i rappresentanti del gruppo a salire sul palco, disposta a mettere da parte la presentazione del mio libro per dialogare con loro. Ma non era quello che cercavano: volevano proprio impedirmi di parlare. Non sono sorpresa dalla contestazione: sono sorpresa che a fronte di un atteggiamento così chiaro non si sia avvertito il dovere di prendere le distanze. Sono rimasta tre ore sul palco ad aspettare di poter parlare, ma non c’è stato assolutamente modo di farlo. Hanno continuato a urlare e cantare impedendomi di esprimermi. Questo non è dissenso: è togliere agli altri la libertà di parola. Peraltro, non ero a Torino come ministra ma come autrice di un libro (“Una famiglia radicale”, edito da Rubbettino, ndr). Al Salone del Libro è stata tolta a un’autrice la libertà di parlare della sua opera.
Perché a suo parere c’è stata una diffusa giustificazione di questo comportamento?
Perché questa è una modalità di azione che alcune espressioni della sinistra radicalizzante evidentemente ritengono normale. A sinistra si sono levate anche voci molto perplesse, se non di sostegno esplicito. Ma la linea espressa dalla segretaria del Pd Elly Schlein è stata all’insegna del rovesciamento della realtà, asserendo che sarei stata io a non tollerare il dissenso... È molto pericoloso cominciare a legittimare atteggiamenti intolleranti e aggressivi, perché poi le cose possono scappare di mano. Si vuole esasperare lo scontro, creare il nemico, e così si evita qualunque forma di dialogo.
Cosa la impressiona di più in questa vicenda?
Che ad attaccare una donna siano state altre donne. Peraltro con me sul palco c’era Annamaria Bernardini De Pace, anche lei con trascorsi radicali, esterrefatta pure più di me. Chi legge il mio libro trova molte battaglie femministe. Ecco, un’aggressione così per me è stata molto dolorosa, difficile da accettare.
E cosa può insegnare quello che è successo?

Ricordo anni brutti in cui si impediva alla gente di parlare, e che hanno generato fenomeni di violenza andata ben oltre il fatto di togliere la parola. Attenzione, perché è sempre iniziato così: tu non puoi parlare. Pensavo che la libertà di espressione ormai fosse un dato ovvio, e che se viene negata tutti reagissero. Invece ho dovuto constatare che è possibile tornare indietro. Sono grata a chi mi ha espresso vicinanza, dal sindaco di Torino Stefano Lo Russo a Matteo Renzi, a Luciano Violante, ma resta la ferita di un travisamento dei fatti per cui io sarei andata “a provocare” e sarei allergica al dissenso. Sono rimasta molto sorpresa da queste affermazioni, del tutto infondate.
Da dove nasce la delegittimazione di chi la pensa diversamente?
Dall’intolleranza verso un pensiero differente, non omologato. Per quel che mi riguarda, nasce dal fatto che sono diversa da come pensano che sia, o vorrebbero che fossi. La “cattolica di destra” dev’essere moralista, dura, cattiva, reazionaria. Una caricatura. In realtà rappresento una storia “irregolare”, del tutto diversa, che evidentemente compromette il tipo di scontro che si vuole rappresentare e mettere in campo. Mi vorrebbero criminalizzare per rendermi degna di odio.
Le viene rimproverata ancora la dichiarazione nella quale a chi le chiedeva se l’aborto fa parte delle «libertà delle donne» rispose «purtroppo sì»...
Ho sempre detto che l’aborto è una grande contraddizione per la donna, perché è una scelta libera ma è anche una ferita. Di questo contrasto drammatico il femminismo storico è sempre stato molto consapevole. Ci sono centinaia di citazioni che lo attestano. Mi pare che il mio pensiero in materia sia chiaro.
Chi le impediva di parlare si diceva favorevole alla maternità surrogata, proposta nelle stesse ore a Milano in un contesto fieristico, come ha documentato Avvenire.
A chi protestava contro il controllo sul corpo femminile ho detto di essere d’accordo con loro ma oggi la vera battaglia è sull’uso del corpo femminile che si esercita nella surrogazione di maternità, nella compravendita di gameti, nell’acquisto di decine di ovociti da ragazze pagate per produrne più che possono per soddisfare il mercato. A Torino ho chiesto se volessero lottare con me contro l’utero in affitto, ma sono stata sommersa dalle urla.
Michela Murgia l’ha accusata di aver fatto provvedimenti contro le donne.
Ma non ho fatto proprio nessun provvedimento! La proposta di legge per fermare la maternità surrogata, se è a questa che allude, è di iniziativa parlamentare. Ho espresso opinioni, certo, in linea con molte voci del femminismo. Spero di poterlo fare.
Cosa propone a chi l’ha contestata?
Di leggere il mio libro: si accorgerebbero che dentro c’è una persona, con una storia, nel mio caso piuttosto anomala, comunque non incasellabile nella figurina del nemico.
Da cattolica impegnata in politica, che lezione ricava da questa vicenda?
Che tocca a noi rispondere all’appello a suo tempo rivolto da Pasolini ai radicali: essere portatori di una visione alternativa a quella prevalente e propagandata, sulla vita, le relazioni, il senso dell’umano. Sono convinta che oggi spetti ai cattolici alzare questa bandiera.