Attualità

Il profilo. Alla Pinotti la patata bollente degli F-35

venerdì 21 febbraio 2014
Roberta Pinotti è il primo ministro della Difesa donna dell'Italia repubblicana. Un fatto impensabile, fino a non molto tempo fa, in un mondo da sempre coniugato al maschile. Ma "non ci sono frontiere che le donne non possono superare", dice lei, radiosa per la nomina appena ottenuta. Il suo è stato "un percorso unico", spiega: prima donna a presiedere la commissione Difesa della Camera, sottosegretario alla Difesa nel governo Letta e ora responsabile del dicastero. Certo, ora sente "con grande forza la responsabilità" che le è stata affidata, ma assicura che ce la metterà tutta per fare fronte alla "grande sfida" che la aspetta. In effetti, sono molti i dossier scottanti, a cominciare da quello dei due marò. E proprio a Latorre e Girone dedica le sue prime parole da titolare del ministero di Palazzo Baracchini: "I marò sono nel mio cuore e nel cuore di tutti gli italiani", ha detto. "È una situazione ingiusta. Dobbiamo con forza riportarli a casa", perchè sono trattenuti "ingiustamente" in India. "Tutti i militari - ha detto - possono compiere errori ma esiste la giustizia militare italiana. Non possono essere accusati di terrorismo e non devono essere giudicati in un altro Paese". Genovese, 53 anni, sposata, due figlie, Roberta Pinotti è una senatrice del Partito Democratico che da sempre si è occupata di cose militari. Ha iniziato il suo percorso politico dal basso, negli anni '90, con l'elezione a consigliere nella circoscrizione genovese di Sampierdarena, accumulando varie esperienze sia all'interno del suo partito (Pci-Pds-Ds-Pd), sia in campo amministrativo. È stata assessore provinciale e segretaria dei Ds a Genova, poi è entrata in Parlamento, alla Camera, nel 2001. Rieletta nelle liste dell'Ulivo nel 2006 è diventata presidente della Commissione Difesa di Montecitorio. Nel Pd è stata responsabile Sicurezza, poi "ministro ombra" della Difesa e infine capo Dipartimento Difesa. Rieletta in Senato nel 2008, è stata nominata nel 2010 vicepresidente della Commissione Difesa.    Tra le altre questioni con cui dovrà confrontarsi il neo ministro, la riforma dello strumento militare concepita dal suo predecessore Di Paola: la legge è stata approvata, ma molti auspicano aggiustamenti ai decreti attuativi soprattutto per quanto riguarda i meccanismi di esodo del personale (che dovrà ridursi dagli attuali 190mila militari a 150 mila entro il 2024). All'interno del Governo dovrà battersi affinché ci sia certezza e costanza di risorse per il sofferente bilancio della Difesa, in modo da poter programmare un graduale spostamento di risorse dalla voce Personale, all'Esercizio e all'Investimento, trovando un diverso equilibrio più vicino ai parametri europei. E a proposito del personale, tra i militari c'è malumore per il blocco degli stipendi che da alcuni anni non fa corrispondere alle promozioni i relativi aumenti di retribuzione: una vicenda che si chiede a gran voce di risolvere, per poter garantire ai militari un "livello dignitoso" di stipendi e pensioni. Ma molto c'è da fare anche sul versante della cosiddetta qualità della vita: dalle caserme spesso fatiscenti alla mancanza di alloggi di servizio, che ostacolano in modo serio la mobilità. Da più parti si sollecita al titolare di Palazzo Baracchini anche di accelerare sulla Difesa europea, la cui realizzazione produrrebbe sinergie con risparmi in termini di mezzi e di uomini. E a proposito di mezzi, c'è forse la patata più bollente di tutte che attende la neo-ministra: quella dei caccia F-35, che parte della politica e il movimento pacifista chiedono di non acquistare. Roberta Pinotti dovrà invece portare avanti il programma, ritenuto essenziale dall'Aeronautica, così come si dovrà occupare dei problemi della Marina, che rischia di chiudere per obsolescenza della flotta, e dell'ammodernamento dell'Esercito, che ha la necessità di introdurre in larga scala il programma Soldato Futuro, con conseguente urgenza di fondi. E poi ci sono le dismissioni delle aree militari. Insomma, ammette il ministro, "da fare ce n'è".