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Referendum. Rosy Bindi: «Rischio derive autoritarie. Il No a difesa della Carta»

Marco Iasevoli martedì 1 settembre 2020

Rosy Bindi

Il 20 e 21 settembre gli italiani sono chiamati a votare la riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari. QUI LE RAGIONI DEL SI' E QUELLE DEL NO

«Ho ragioni profonde per il No, legate al mio attaccamento alla Carta e al nostro modello di democrazia rappresentativa e parlamentare. Un modello che da anni sta attraversando una crisi in tutti i Paesi che hanno una Costituzione ispirata ai principi della democrazia liberale. Ma il taglio draconiano del numeri dei parlamentari non risponde nemmeno a uno dei motivi di questa crisi. Anzi li aggrava». Sul fronte del No, è in campo ora ufficialmente anche Rosy Bindi, ex ministro alla Sanità ed ex presidente della commissione Antimafia. E non da sola: a giorni, l’ex presidente del Pd co-firmerà un documento trasversale che andrà ulteriormente ad animare il dibattito.

Per lei non c’è bisogno di uno 'sblocco psicologico' alle riforme costituzionali?

Prendiamo uno a uno i problemi della democrazia parlamentare. Nemmeno per uno di essi la soluzione è questo taglio. C’è il problema del buon funzionamento del Parlamento, della sua efficienza ed efficacia: ma si risolve superando il bicameralismo perfetto e cambiando i regolamenti, non tagliando i parlamentari. C’è il problema di rappresentare nelle istituzioni il pluralismo, e non lo si affronta mortificando le minoranze e i territori. C’è il problema del corpo elettorale che ha difficoltà a scegliere i propri rappresentanti, ma la soluzione si chiama legge elettorale.

Il fatto che questi fronti restino aperti è un motivo sufficiente per votare No?

Io temo che l’approvazione della riforma, soprattutto una vittoria con largo vantaggio del Sì, finisca per rendere ancora più irrilevante il Parlamento nell’equilibrio tra i vari poteri istituzionali e nel rapporto con la società. Vedo derive populiste e demagogiche che farebbero leva su questo risultato. Vedo il rischio di una deriva oligarchica e autoritaria strettamente legata alla delegittimazione del Parlamento.

Una deriva alimentata da chi? Dal M5s?

Ma no, non mi riferisco a loro. Per l’eterogenesi dei fini, sarebbero le opposizioni di destra, con la cultura dei 'pieni poteri', ad avvantaggiarsi rispetto alle forze che compongono questo governo. Il fronte del Sì dice che chi vota No vuole far cadere il governo: è esattamente il contrario, è un trionfo del Sì che manderebbe in crisi l’esecutivo e darebbe argomenti alle destre populiste, sovraniste e demagogiche di questo Paese. Il primo significato del voto sarebbe che il Paese non vuole più i mille parlamentari in carica.

Tuttavia è una possibile avanzata del No a preoccupare l’esecutivo e a far traballare il Pd.

Io per la Carta passo anche sopra i governi, sia chiaro. Ma se mi chiede se questo è un voto contro il Pd o l’alleanza con M5s, dico che non è assolutamente così. Oggi io sono senza patria partitica, ma faccio le mie battaglie. Rivendico che la difesa della Carta è nel dna dei cattolico- democratici. Così come la richiesta di politiche migratorie giuste e umane e la lotta alle disuguaglianze sociali. Chi ha questo dna, oggi non si sente a casa nel Pd alla luce delle scelte che il Pd stesso ha fatto.

Cosa imputa al Pd?

All’inizio dell’esperienza di governo il Pd aveva potere negoziale. Lì doveva porre le questioni politiche essenziali: prima la legge elettorale e le altre riforme, infine la quarta lettura di questa riforma. E in generale, in quella sede, far valere una visione. Non l’hanno fatto, hanno preferito i tatticismi.

Lei votò no anche alla riforma Renzi: è stata un’opportunità sprecata?

La riforma era pasticciata e Renzi non si fermò a ragionare su quelle correzioni minime che l’avrebbero resa coerente. Mise la sua testa e quella del governo sul referendum, esattamente come rischia di fare oggi l’esecutivo in carica.