Attualità

La corsa al Colle. Quirinale, grandi manovre nei partiti

Marco Iasevoli venerdì 16 gennaio 2015
È iniziata sul serio la bagarre per il Quirinale. A scatenarla Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera. Anche lui si associa alle altre opposizioni e chiede di sospendere l’esame della riforma costituzionale per trattare prima il dossier-Colle. Una mezza coltellata al Patto del Nazareno, più sulla linea Fitto che sulla linea Berlusconi, sotto lo sguardo complice non solo di M5S, Sel e Lega, ma anche della minoranza Pd. I democratici 'governativi' e il resto della maggioranza resistono, la presidente della Camera Laura Boldrini conferma l’attuale calendario ma valuterà la concessione di pomeriggi liberi a gruppi che ne facessero richiesta per parlare di Quirinale. Così sarebbe a rischio l’obiettivo di votare subito il superamento del bicameralismo. La notizia rimbalza a Palazzo Chigi come una minaccia. Ma dopo il primo moto di stizza, Renzi manda un messaggio a Berlusconi: «È un’arma spuntata. Combatteremo l’ostruzionismo con tutti gli strumenti. Non ce la facciamo a fare le riforme per il 28 gennaio? Bene, le riprendiamo dopo il nuovo capo dello Stato. Non scherzino con il fuoco, non sono decisivi». Il sottotitolo è chiarissimo: se l’ex Cavaliere si sfila in extremis dal tavolo delle riforme, allora si cambia schema anche per il Colle. «Così Forza Italia ottiene solo una cosa, Prodi presidente... A noi fanno un favore», dicono uno dopo l’altro gli esponenti dem del governo. Il premier ha espresso queste idee ai suoi capigruppo Luigi Zanda e Roberto Speranza, ma anche al leader del Ncd Angelino Alfano e al dissidente non oltranzista Vannino Chiti. La realtà è che ieri è stata una giornata molto confusa e tattica. Berlusconi la mossa di Brunetta l’ha più subita che ordinata. L’ex premier ha avuto nel pomeriggio un faccia a faccia con il capo dei dissidenti forzisti, Raffaele Fitto. Nessun passo avanti decisivo tra i due, ma l’ex Cavaliere ha dovuto concedere più margini di autonomia al gruppo parlamentare. Perciò Renzi mantiene il sangue freddo. È consapevole che l’ex premier, consentendo ai suoi di mettere mine sotto il Patto del Nazareno, ne ricaverebbe soltanto un capo dello Stato più ostile. Insomma, il vincolo è ancora solido: in particolare, entrambi avrebbero da perdere nello scenario in cui opposizioni e fronde interne riuscissero a fare uno sgambetto nei primi tre scrutini, alimentando ad arte un candidato ingombrante per entrambi. Prodi, appunto. L’ipotesi di Ignazio Visco come quella di Giuliano Amato, rimbalzata in questi giorni, ha proprio questa funzione: in caso d’emergenza, mettere in campo una riserva della Repubblica al quale è difficile giocare brutti scherzi. Ogni sillaba di questi giorni va presa con prudenza. Di certo chi voterà le riforme voterà il capo dello Stato. E se le riforme rimanessero nel guado, la strategia per il Colle andrebbe riscritta. Dopo la direzione Pd di oggi, il giorno decisivo sarà lunedì, quando arriverà sul tavolo l’ultima mediazione sulla nuova legge elettorale. Per rispondere al fuoco incrociato delle minoranze democrat e forziste, sia il coordinatore Ncd Gaetano Quagliariello sia il sottosegretario Luciano Pizzetti sia il lettiano Francesco Russo stanno lavorando ad un nuovo emendamento, per portare a 30-70 o 35-65 il rapporto tra nominati e preferenze. Difficile infine prevedere cosa Renzi dirà oggi alla Direzione. Non si attendono indicazioni precise (tipo votare ai primi scrutini scheda bianca o un nome di bandiera come Luigi Zanda), ma alla luce dello strappo di Brunetta è probabile che il premier faccia appello all’orgoglio del Pd e alla necessità di arrivare uniti al momento decisivo della legislatura. Intanto anche Area popolare (quasi 100 grandi elettori) si organizza: Alfano ha mandato di parlare a 360 gradi, anche con Berlusconi.