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La ricerca Acli. Tra affetti e paure, famiglie in cerca di welfare e lavoro

Luca Liverani mercoledì 4 dicembre 2019

Archivio Ansa

Sempre fiduciose nel ruolo affettivo della convivenza familiare. Un po’ chiuse in se stesse e tendenzialmente disimpegnate, però. Forse perché preoccupate per un futuro economicamente incerto, soprattutto al Sud e per i nuclei monoreddito, che non permette di avere più figli. Resistono, insomma, ma faticano molto le famiglie italiane. E accusano i colpi di una crisi di valori, di welfare, di stabilità occupazionale. È il ritratto che emerge – con differenze tra nuclei giovani e maturi – dall’indagine La famiglia italiana. Un racconto attraverso i dati, elaborata dall’Iref (Istituto di ricerche educative e formative) per le Acli, che viene presentata oggi a Roma alle 15 a Palazzo Altieri, piazza del Gesù 49.

All’incontro parteciperanno, tra gli altri, il presidente delle Acli Roberto Rossini, la ministra della Famiglia Elena Bonetti e il presidente del Forum delle Associazioni Familiari Gianluigi De Palo. A illustrare lo studio sarà la ricercatrice dell’Iref, Federica Volpi.

La ricerca ha sondato un campione di oltre 700 famiglie residenti in Italia, non unipersonali, con e senza figli, anche con membri stranieri. Più della metà vive in piccoli e medi centri. Hanno uno, due o nessun figlio, il 78% vive in casa di proprietà, ha reddito medio-basso tra 1.000 e 1.500 euro. E 4 su 10 hanno avuto difficoltà ad acquistare beni di prima necessità.

Com’è il clima in famiglia? Buono nella maggior parte dei casi: «Sincronizzati e organizzati come un azienda» per il 35%, stessa percentuale si vede come «tanti cuori e una capanna». Ma il 22% si definisce «naufraghi su un’isola deserta», «leoni in gabbia», «navi arenate», «pugili su un ring». E quasi l’8% «un pianeta che ruota attorno a un unico componente».

Tutti credono - con diversi accenti - nella famiglia come luogo in cui si prende un impegno, ci si vuole bene, si vive insieme, si fanno figli. I tre quarti dà 8 come voto alla famiglia come realtà su cui contare. È pienamente soddisfatto delle relazioni il 47%. Tensioni familiari? Quasi il 25% ammette che nelle discussioni «si superano i limiti». Per il 68% i contrasti si risolvono in famiglia e solo il 14% si rivolge fuori: amici, professionisti, associazioni.

Qualche interrogativo emerge scorrendo la classifica dei comportamenti inammissibili in una famiglia: al primo posto c’è un consolante «rifiutarsi di aiutare una persona in difficoltà». Seguono in ordine di importanza «appropriarsi di denaro pubblico», «non fare il proprio dovere al lavoro», «non dare priorità alla propria famiglia». Al quinto posto «avvalersi di una raccomandazione a danno di altri», italico malcostume che sembra non scandalizzare più di tanto. A seguire «evadere le tasse», «appropriarsi di un merito altrui», «occupare un edificio abbandonato per viverci». Penultimo, tra i comportamenti inammissibili in famiglia, «trattare male un immigrato», azione che non risulta evidentemente particolarmente grave. Ultimo, come disvalore, «non impegnarsi su temi politici e sociali».

I figli? Quasi il 27% ne avrebbe voluti di più, circa il 48% ha problemi di conciliazione tra orari di lavoro e famiglia, il 26% fatica a contrastare i modelli dei media. L’ostacolo alla genitorialità sembra soprattutto economico. Il 47% non è riuscito a risparmiare nulla, il 39% «con molta fatica». Una spesa imprevista? Impossibile per l’11%, problematica per il 43. Profonde le differenze tra le famiglie monoreddito e quelle che contano due stipendi. Tra le prime, il 71% indica il licenziamento come il primo problema di lavoro, dato che crolla al 18% nelle bi-reddito. Ma cosa chiedono le famiglie allo Stato? L’80% «una rete integrata ed efficiente di servizi», più che contributi in denaro. Un plebiscito. Per un welfare che probabilmente per molti è solo un sogno.