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Milano. Ennio Doris e le ostie prodotte in carcere: «Nei detenuti il volto di Cristo»

Paolo Lambruschi domenica 5 settembre 2021

Un ritratto di Ennio Doris

«Ho passato la vita con la mano di Dio posata sul capo. Ho avuto tanto, quello che ho costruito l’ho fatto non per merito mio, ma perché il Padreterno mi ha fatto nascere in una famiglia che mi ha amato e poi mi ha donato talenti da mettere a frutto. Da credente, aiutare chi non ha più nulla a risollevarsi con il lavoro è il mio modo di ringraziare e restituire».

A 81 anni Ennio Doris, fondatore e presidente di Banca Mediolanum, accetta di parlare con Avvenire non di economia e finanza, bensì di talenti, di valori e dei motivi che lo hanno spinto, da uomo del fare, a finanziare l’opera dei laboratori che stampano ostie in diverse carceri del pianeta.

QUI LA STORIA DEL PROGETTO

Partiamo dalla povertà. Doris la conosce bene, ha vissuto sulla propria pelle privazioni e durezze dell’Italia rurale del dopoguerra, in un tempo lontano che ricorda con orgoglio. Il banchiere, l’uomo di successo viene dalle campagne di Tombolo, provincia di Padova ed è venuto al mondo in una famiglia umilissima crescendo in una casa senza riscaldamento né acqua corrente divisa con due famiglie di parenti. «Eravamo in 18. Sono grato ai miei genitori che non mi hanno mai fatto mancare l’amore e mi hanno educato con valori cristiani, l’amore e il rispetto per il prossimo. La mia infanzia è stata un paradiso. È stato il primo grande dono. Poi ne ho avuto in culla un altro».

Quale?

Il senso del numero. A Tombolo, finite le elementari, il sogno di noi bambini era andare a vendere bestiame. Era la via per entrare nel mondo degli adulti. Però mi fermò una nefrite a dieci anni e così i miei mi fecero proseguire gli studi alle medie con molti sacrifici e le superai a pieni voti vincendo premi e borse di studio. Vedendo i risultati, i miei genitori mi spinsero a proseguire. Mi iscrissi a ragioneria a Treviso perché volevo andare a lavorare dopo il diploma. Mi alzavo all’alba per prendere il treno. Mia mamma era già in piedi da un’ora, mi preparava la colazione e il pranzo, mi metteva il vestito a scaldare davanti al fuoco in inverno, perché in camera da letto c’erano i ghiaccioli e dovevo lavarmi all’aperto. Quando stavo per diplomarmi, una professoressa mi consigliò di continuare. Le risposi che non potevo permettermelo, si offrì di pagarmi l’università. Ma rifiutai per aiutare i miei.

Poi lei è entrato in banca, negli anni 70 ha lasciato il posto fisso e da promotore finanziario è arrivato al successo e in società con Silvio Berlusconi ha creato una banca...

Ci sono arrivato sempre lavorando molto per far fruttare i talenti che mi sono stati donati. Oltre alla capacità di far bene i conti, so ascoltare e convincere la gente a darmi fiducia e cerco sempre di ripagarla. Ho rispetto per le persone. Quando avevo iniziato a fare il promotore finanziario, un falegname mi consegnò un assegno di dieci milioni, che negli anni 70 erano una bella somma. Ero felice poiché lavoravo a provvigione. Lui mi disse che mi aveva dato molto di più: mi consegnava i frutti di anni di sacrifici. Mi spiegò poi che non poteva permettersi di ammalarsi perché se non lavorava la sua famiglia non poteva mangiare. Si aspettava da me una rendita che gli permettesse il 'lusso' della malattia pagata. Ho cercato di trasmettere questo senso di responsabilità nella gestione dei risparmi ai miei collaboratori.

Quindi economia e finanza devono avere valori etici?

Certo, che vadano oltre il mero profitto immediato. Generano profitti più alti e anche economicamente convengono. Ha ragione il Papa, economia e finanza devono essere al servizio dell’uomo. Credo che quando andremo nell’Aldilà, come mi hanno insegnato, ci verrà chiesto per prima cosa come abbiamo messo a frutto i talenti e poi chi abbiamo aiutato. Per me ciascuno deve essere messo in condizione di farli fruttare. Così si ha il centuplo quaggiù, si crea un mondo migliore e si aiuta la gente. Ci vuole la carità.

Che valore ha la famiglia per lei?

È tutto. Oltre alla mia famiglia d’origine ho avuto in dono da Dio mia moglie, l’amore della mia vita. Ci siamo conosciuti nel 1962 e sposati nel 1966 e per me è sempre la ragazza della quale mi sono innamorato a prima vista. Mi è sempre stata vicino e ha condiviso tutto con me. In passato, oggi e in futuro.

Cosa l’ha convinta a finanziare il progetto 'll Senso del Pane'?

La possibilità di ridare dignità, di fare in modo che con il lavoro anche chi ha sbagliato nella vita possa ripartire, scoprire e far fruttare il proprio talento. Se poi il lavoro è stampare quello che durante la messa diventerà il Corpo di Cristo, mi sembra il massimo. Ha affascinato anche papa Francesco. Aiutiamo in Italia e in tutto il mondo persone che non avrei mai potuto conoscere. Arnoldo Mosca Mondadori mi ringrazia sempre per l’aiuto, ma sono io a ringraziarlo per avermi dato la possibilità di incontrare e aiutare chi ha bisogno e nel quale rivedo il volto di Cristo.

Lei conosce meglio di altri il Paese profondo. Questa Italia impoverita e fiaccata dal Covid ha la forza di rialzarsi?

Certo. Purtroppo ci raccontano sempre dell’albero che cade e ci dimentichiamo della foresta che cresce. Invece in Italia ci son valori forti, guardi cosa sono capaci di fare per la società due milioni di volontari. Mi ha colpito l’immagine del console italiano rimasto a Kabul che ha salvato il bambino. È quello che gli italiani sanno fare.