Attualità

Migranti. Respingimenti a catena. Prima condanna per l’Italia

Nello Scavo venerdì 22 gennaio 2021

Uno degli stranieri torturati durante i respingimenti sulla “rotta balcanica”

adesso sui tribunali del nostro Paese potrebbe piovere una pioggia di ricorsi. Perché i respingimenti sbrigativi verso la Slovenia - 1.301 nel 2020 - sono illegali. E perché le autorità italiane sono consapevoli che i richiedenti asilo allontanati dai nostri confini, nella gran parte dei casi riappaiono in Bosnia dopo essere stati cacciati dalla Slovenia e maltrattati in Croazia.

La sentenza con cui il Tribunale di Roma ha condannato il ministero dell'Interno ordina infatti «alle amministrazioni competenti di emanare tutti gli atti ritenuti necessari» a consentire l'immediato ingresso di un richiedente asilo respinto illegalmente. Si tratta di un 27enne pachistano i cui legali avevano denunciato la pratica dei «respingimenti informali in Slovenia» che avevano comportato il suo «respingimento a catena» fuori dai confini Ue. L'uomo è stato allontanato insieme a numerosi altri, senza che gli fosse data la possibilità di presentare la sua richiesta di protezione alle autorità.

Nel provvedimento accolto dal tribunale, viene ricordato l'accordo bilaterale tra Roma e Lubiana, siglato nel 1996 durante il conflitto della ex Jugoslavia. Per il giudice quell'intesa è carta straccia: «Non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano, ciò comporta che non può prevedere modifiche o derogare – si legge nella sentenza – alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell'Unione Europea o derivanti da fonti di diritto internazionale». Secondo il dispositivo sono «numerose le norme di legge che vengono violate dall'Autorità Italiana», a cominciare dalla riammissione che avviene «senza che venga emesso alcun provvedimento amministrativo».

Il pachistano ha riferito di essere stato picchiato dalla polizia croata, allegando attraverso i suoi avvocati, Caterina Bove e Anna Brambilla, le immagini scatate dagli operatori umanitari una volta raggiunto un accampamento in Bosnia. «I trattamenti subiti dal ricorrente – scrive il giudice Silvia Albano – possono ritenersi provati», anche da quanto riportato «dalle più autorevoli fonti internazionali», oltre che dalle affermazioni della autorità italiane secondo cui «le riammissioni avvengono senza distinzione tra richiedenti asilo e non, con la conseguenza – si legge ancora nel dispostivo – che il richiedente asilo non gode né in Italia né in Slovenia di tale status».

Il giovane era arrivato in Italia con un gruppo di pachistani, «tutti intenzionati a chiedere la protezione internazionale e mentre alcuni volontari prestavano loro soccorso, provvedendo anche a medicargli le ferite, erano stati avvicinati da alcune persone in abiti civili qualificatisi come poliziotti» a cui avevano manifestato «la volontà di chiedere asilo». Poche ore dopo l'intero gruppo si ritroverà in Slovenia. Per loro un crescendo di minacce e violenza. Ammanettati con delle fascette di plastica e gettati in una cella, i migranti il giorno successivo in Croazia sono stati «picchiati dagli agenti – riassume il giudice – con manganelli avvolti dal filo spinato e presi a calci sulla schiena».

Esaminando il caso, il Tribunale ha analizzato numerose fonti che «riportano le efferate e sistematiche violenze e le vere e proprie torture cui sono sottoposti i migranti da parte della polizia croata soprattutto al confine con la Bosnia (Amnesty International, Danish Refugee Council, reti di Ong, Border Violence Monitoring Network, Unhcr–Acnur, Medici Senza Frontiere, l'organizzazione dei gesuiti per i Rifugiati» oltre a numerose «fonti ufficiali quali Aida (l'archivio europeo sui rifugiati, ndr) ma anche testate giornalistiche quali The Guardian, New York Times, Avvenire, L'Espresso».

Per Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi, l'associazione di giuristi esperti di diritto delle migrazioni, l'Italia è stata condannata «non per qualche modesta violazione di legge ma per avere impedito al ricorrente (come è avvenuto a centinaia di altre persone) di esercitare il diritto, costituzionalmente tutelato, di presentare domanda di asilo». Mostrando cosi «un sistema pianificato di elusione di obblighi fondamentali». A questo punto «ci aspettiamo – è l'auspicio di Schiavone – che sia ripristinata la legalità alle nostre frontiere».