Attualità

Lo scontro sull'art 18 . "Il posto fisso non c'è più", l'affondo di Renzi

lunedì 27 ottobre 2014
​Si è morso la lingua un giorno. Ma non quello dopo. Matteo Renzi ha chiuso domenica la Leopolda con un intervento durissimo contro la Cgil e la minoranza Pd tra applausi da stadio dei partecipanti alla kermesse. "Il posto fisso non c'è più" attacca il premier accusando chi difende l'art.18 di essere fuori tempo, come chi "mette il gettone nell'iPhone". E il futuro per il rottamatore è arrivato anche nel Pd: la nuova guardia renziana "non restituirà un partito del 40% ai reduci che l'hanno lasciato al 25". Altrimenti, avverte, "non ho paura se si crea qualcosa di diverso a sinistra".    Nella giornata clou dell'iniziativa renziana, il lavoro è al centro: quello che c'è o si inventa, come dimostrano le tante storie piccole e grandi raccontate sul palco. Ma anche quello che non c'è o si rischia di perdere, secondo il grido d'allarme lanciato dai lavoratori Meridiana o dalla delegazione dell'Ast di Terni, che Renzi incontra e rassicura. Ma è nell'intervento conclusivo che il premier sfida chi sabato è sceso in piazza a Roma. E dichiara "guerra" ai tanti, intellettuali come euroburocrati, che "credono che l'Italia non ce la farà e non vedono l'ora di vedere il nostro fallimento". Gufi che, è sicuro il premier, "al traguardo ci vedranno perché avremo la maglia rosa". Perché, "se il governo è una bicicletta che ci siamo andati a prendere, non è per scaldare una sedia ma per cambiare il paese". Nello spirito anche un pò giocoso della Leopolda ma, assicura il "ragazzo" diventato premier, "prendendoci terribilmente sul serio".    Nella "madre di tutte le battaglie", come Renzi chiama lo scontro in atto sull'art.18, si contrappongono due mondi opposti. E il premier non sembra intenzionato a conciliarli. "Il precariato non si combatte organizzando manifestazioni o convegni", accusa chiedendo un "cambio di mentalità" alle imprese e nuove regole del gioco. "Di fronte al mondo che cambia a questa velocità, puoi discutere quanto vuoi ma il posto fisso non c'è più", è la convinzione del presidente del consiglio. Quindi, è l'interrogativo, "un partito di sinistra che fa: un dibattito ideologico sulla coperta di Linus o chi perde il posto di lavoro trova uno Stato che si prende carico di lui?".   Alle accuse di fare politiche di destra, Renzi risponde con la sua visione di una nuova sinistra. E affonda: "Nel 2014 aggrapparsi ad una norma del 1970 che la sinistra di allora non votò è come prendere un iPhone e dire dove metto il gettone del telefono? O una macchina digitale e metterci il rullino. È finita l'Italia del rullino". Un attacco degno del rottamatore che non convince affatto la leader Cgil Susanna Camusso che ribatte: "Renzi non ha argomenti per contrastare le cose che abbiamo detto ieri". Ma il premier è convinto di aver ragione. Al punto di non temere che "si crei a sinistra qualcosa di diverso" perché "sarà bello capire se è più di sinistra restare aggrappati alla nostalgia o provare a cambiare il futuro". La conta si farà, lascia intendere il leader Pd alle urne. Ma, avverte, "tutte le volte che hanno cercato lo strappo hanno perso loro". Un avviso neanche troppo velato a chi sta con difficoltà dentro il suo Pd. Rosy Bindi e l'attacco alla Leopolda "imbarazzante" sono il simbolo di un partito che non c'è più e non tornerà. "Non consentiremo a quella classe dirigente di riprendersi il Pd per riportarlo dal 41% al 25%. Il Pd non è il partito dei reduci ma del futuro". L'unico della "vecchia guardia" a cui Renzi esprime riconoscenza è il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, al quale "va tutto il nostro affetto per le tante menzogne che sono state dette nei sui confronti". "È doveroso - aggiunge - che l'Italia per bene sia con lui". I veterani del partito, invece, sono chiamati a scegliere da che parte stare. La sinistra dem da parte sua non alza bandiera bianca. L'avvertimento giunto dal palco della Leopolda rischia di imbavagliarla ulteriormente all'interno del partito, restringendo anche i margini di manovra in Parlamento, in vista di un'eventuale fiducia sul Jobs Act. Ma una resa, dal punto di vista della minoranza, oggi si concretizzerebbe in una scissione dal partito, dando così campo libero al segretario. E questa, è il punto della sinistra Dem, e "una concessione che non faremo". Le parole di Renzi tagliano la domenica del post-manifestazione della Cgil come un lama affilatissima e non lasciano dubbi sul fatto che, per la minoranza, le chance di influire su legge di stabilità e Jobs Act saranno pochissime. La partita, poi, è generale. Riguarda la gestione di un partito che è apparso spaccato in due. Ed è qui che la minoranza sceglie la linea più dura. Il premier ci vuole fuori? "Se lo tolga dalla testa, resteremo nel Pd per restituirgli la sua vocazione di grande partito della sinistra e per costruire un'alternativa nel Pd che possa affermarsi nel prossimo congresso", assicura il bersaniano Alfredo D'Attorre, interpretando il pensiero di un'area che a Piazza San Giovanni, contava molti protagonisti. "Occorre dare risposte concrete, serie non rispondere con battute e slogan vuoti, che hanno ormai fatto il loro tempo", incalza D'Attorre, trovando Stefano Fassina sulla stessa linea. Parlando in diretta tv, da quello zoo che, in chiave Leopolda, in questi giorni era diventato quasi un tormentone ("Devo andare allo zoo non posso andare alla Leopolda"), l'ex viceministro afferma che, se Renzi volesse la scissione, "sarebbe un problema per tutto il Pd". Poi attacca: "Il Pd non sia un partito di finanzieri", mentre sul Jobs Act avverte che "senza cambiamenti radicali, non lo voterò". E proprio sul Jobs Act, e su un'eventuale richiesta della fiducia da parte del governo, la sinistra Pd rischia di trovarsi di fronte al bivio più cruciale. L'obiettivo, per ora, è cercare di negoziare su alcuni punti chiave, come il disboscamento dei contratti dei precari o il controllo a distanza, oltre che sulla questione principe dell'art.18. I tempi non si preannunciano brevi, e il pericoloso incrocio a Montecitorio con la legge di stabilità rischia di allungarli ulteriormente. Nel frattempo, per la minoranza Dem, il sostegno arriva solo da sinistra. "Renzi archivia la differenza tra destra e sinistra. Gli basta la destra", twittava ieri Nichi Vendola.