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Commissione d'inchiesta. Regeni, «il governo richiami l'Egitto alle sue responsabilità»

Alessia Guerrieri giovedì 2 dicembre 2021

Una fiaccolata in memoria di Giulio Regeni, torturato e ucciso in Egitto da uomini degli apparati di sicurezza

Le responsabilità vanno cercate al Cairo. Il sequestro, la tortura e l’uccisione di Giulio Regeni, il ricercatore dell’Università di Cambridge trovato morto nel 2016 in Egitto dopo nove giorni dalla sua scomparsa, «grava direttamente sugli apparati di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto, e in particolare su ufficiali della National Security Agency (Nsa)». Così come i responsabili dell’assassinio del ragazzo friulano «sono al Cairo, all’interno degli apparati di sicurezza e probabilmente anche all’interno delle istituzioni», la cui mancata collaborazione di fatto va intesa come «un’assunzione di colpevolezza».

È una presa di posizione forte contro il regime di al-Sisi la relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Regeni approvata ieri all’unanimità, che partendo dalla «minuziosa ricostruzione» della procura di Roma, arriva a chiedere al nostro governo di «richiamare l’Egitto alle sue responsabilità». Anche in vista della nuova udienza davanti al gup della Capitale, fissata per il 10 gennaio prossimo, nel processo contro quattro membri dell’Nsa.

Per giungere infatti alla verità su quanto accaduto al ricercatore, serve infatti «un’autentica collaborazione da parte egiziana», da cui sono arrivate solo «parole a livello politico, mentre la magistratura si è chiusa a riccio in un arroccamento non solo ostruzionistico, ma apertamente ostile e lesivo sia del lavoro svolto dagli inquirenti italiani che dell’immagine del giovane ricercatore, verso cui lo stesso presidente al-Sisi aveva usato un tono ben diverso».

I parlamentari perciò definiscono la mancata comunicazione agli imputati nel processo in Corte d’Assise da parte egiziana, che ha costretto di fatto ad «una battuta d’arresto», non solo una «fuga dal processo», ma «una vera e propria ammissione di colpevolezza da parte di un regime che sembra aver considerato la cooperazione giudiziaria alla stregua di uno strumento dilatorio». Da parte loro, perciò, c’è stata «un’oggettiva ostruzione al naturale decorso della giustizia italiana».

Dopo due anni di lavori, i venti deputati hanno inoltre chiarito il non coinvolgimento, anche inconsapevole, di Giulio Regeni con i servizi segreti di Paesi terzi, come quelli britannici. Così come è ormai chiaro anche il ruolo della docente di Cambridge, Maha Abdelrahmn, nella vicenda. «Non vi è alcun elemento che possa suffragare l’ipotesi» di una partecipazione, sostengono, aggiungendo poi che non vi è stata casualità nel ritrovamento del corpo del giovane.

Ecco che così, ribadiscono più volte nelle loro conclusioni i parlamentari, «è giunto il momento per il governo italiano di compiere un passo decisivo presso il governo egiziano perché sia rimosso l’ostacolo che vi si frappone». La mancata collaborazione infatti non solo «smentisce in modo che appare spudorato le dichiarazioni di buona volontà puntualmente esibite dalle autorità egiziane, ma viola le norme consuetudinarie del diritto internazionale e soprattutto la Convenzione della Nazioni Unite sulla tortura» ratificata sia dall’Italia che dall’Egitto.

In questo modo viene «messo un ulteriore tassello» al chiarimento di quanto accaduto. Ma soprattutto, spiega il presidente della Camera Roberto Fico, «il voto unanime della commissione esprime la volontà e l’impegno di avere verità e giustizia per Giulio Regeni». Quello che è stato fatto in questi due anni, aggiunge il presidente della Commissione d’inchiesta Erasmo Palazzotto (Leu), «è un lavoro straordinario e intenso» che giunge a concordare con la tesi della procura di Roma per cui «Regeni è stato rapito, torturato e ucciso dai servizi di sicurezza egiziani».