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RETROSCENA. Referendum, l'ultima tentazione del Cavaliere

Arturo Celletti sabato 15 ottobre 2011
Forse hanno ragione quelli che mi continuano a ripetere che questa legge elettorale trasformerebbe Casini nel re del Parlamento...». Berlusconi esita solo qualche istante prima di completare quel ragionamento così insolito per uno come lui che ha sempre evitato le questioni "tecniche" legate al sistema di voto: «... Il piano dell’Udc è così chiaro: puntano ad aprire la crisi a gennaio e a schivare così il referendum. Poi per loro poi tutto sarebbe facile: Casini potrebbe correre anche questa volta da solo, aspettare di ritrovarsi decisivo a Palazzo Madama e chiedere in cambio di un suo impegno per la governabilità il Quirinale».Chi è in piedi davanti al premier lo guarda cercando di capire. E il chiarimento arriva: «Se pensano che sarò io a provocare la crisi per schivare il referendum hanno capito male. Si va avanti e se la Corte Costituzionale darà il via libera non sarò io a mettermi di traverso. La gente ha firmato; bene, ascolterò la gente».Parola dopo parola il piano segreto del premier acquista forza. «Potrei così decidere di appoggiare il referendum. Per almeno tre motivi. Costringerei Casini a scegliere: con il ritorno al "Mattarellum" non ha nessuna possibilità di presentarsi da solo e non possa credere a una sua alleanza con Di Pietro e Vendola. E poi eviterei anche il rischio di una Lega tentata dalla "corsa solitaria"». Berlusconi si ferma ancora prima di sussurrare il terzo motivo: «... Se poi il vento dell’antipolitica soffia così forte, perché dovrei essere io a cercare di fermarlo».La riflessione del Cavaliere va oramai avanti da una manciata di giorni. Da quando Denis Verdini, in un vertice allargato a Palazzo Grazioli, lo aveva messo in guardia sui rischi legati a un voto anticipato con l’attuale sistema elettorale: «Presidente, Casini non verrà mai con noi». Berlusconi aveva ascoltato in silenzio, poi aveva cominciato ad elaborare le contromosse. Il primo obiettivo ora è andare avanti. Dimostrare compattezza e per dirla con il Colle «capacità operativa».Non è facile e Berlusconi lo sa. «Stanno provando in tutti i modi di farmi cadere. Mi raccontano di un Montezemolo che ha passato la notte a chiamare alcuni dei nostri deputati per invitarli a staccare la spina. Mi dicono Catia Polidori e non solo lei», ripete sottovoce davanti a una manciata di suoi. Poi senza cambiare tono spazza via le voci su una sua possibile ricandidatura per Palazzo Chigi: no, c’è Angelino.Non è un trucco. Il capo del governo, in una recente trasferta, a Bruxelles ha guardato dritto negli occhi José Manuel Durão Barroso, l’attuale presidente della Commissione europea, e lo ha rassicurato: «Io non corro più per Palazzo Chigi. Qualunque cosa succeda c’è un candidato per la presidenza del Consiglio, è Angelino Alfano, fantastic boy».All’improvviso tutto sembra chiaro. Berlusconi vuole evitare che tra lui e il prossimo voto ci sia un altro governo. E vuole arrivare a quell’appuntamento con un Pdl guidato da Alfano e alleato con Casini. Per ora tutto è coperto da una cortina di riservatezza, ma c’è chi giura che anche Bobo Maroni abbia un progetto simile: recuperare l’Udc anche al prezzo di lasciare il Colle a Casini e lasciare che sia Alfano a guidare l’armata di centrodestra. Presto tutto sarà ancora più chiaro, ma intanto sono proprio i centristi a non volerne sapere. Casini ripete di non credere alla nascita di una sezione italiana del Ppe e di non puntare su una nuova alleanza con un centrodestra ancora incapace di liberarsi dal Cavaliere. E una conferma arriva ancora una volta da un episodio nato in Europa. Mario Mauro, il presidente dei deputati del Pdl a Strasburgo aveva organizzato un vertice tra tutti gli eurodeputati del Ppe e Alfano. Alla fine solo l’Udc aveva deciso di disertare quell’incontro e Lorenzo Cesa, il segretario dei centristi, l’aveva spiegato in una telefonata privata ad Alfano con parole chiarissime: «Non veniamo perché abbiamo saputo che sulla legge elettorale state preparando qualcosa che non ci piace». Forse Cesa aveva già saputo della tentazione referendaria del Cavaliere.