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IL CASO MEDIASET. «Il giro di illeciti ideato da Berlusconi»

Vincenzo R.Spagnolo venerdì 30 agosto 2013
Silvio Berlusconi non è stato «un imprenditore così sprovveduto da non avvedersi» di quanto avveniva nella sua azienda. Anzi, è stato lui l’«ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo in vario modo». È quanto scrivono, nero su bianco, i giudici della Sezione feriale della Cassazione, nelle motivazioni della sentenza definitiva nel processo Mediaset, che il 1° agosto ha confermato la condanna dell’ex premier per frode fiscale a quattro anni di reclusione (di cui tre condonati dall’indulto), rinviando però al giudice d’appello la rideterminazione della pena accessoria d’interdizione dai pubblici uffici (che potrà durare da uno a tre anni).Firma dell’intero collegio. Il provvedimento di 208 pagine, elaborato mercoledì in camera di Consiglio e depositato ieri, è insolitamente firmato dall’intero collegio giudicante, presieduto da Antonio Esposito (che il 6 agosto aveva scatenato polemiche rilasciando un’intervista al Mattino, poi parzialmente sconfessata) e formato da Amedeo Franco, Claudio D’Isa, Ercole Aprile e Giuseppe De Marzo.Pronuncia in appello «corretta». Nel testo si sostiene come debbano ritenersi «corrette» le conclusioni della Corte di merito e le si riporta integralmente, per «affermare che esse sono del tutto conformi alle plurime risultanze probatorie che essi hanno richiamato, riportato e valutato con adeguate argomentazioni del tutto immuni da vizi logico-giuridici». La Corte respinge i motivi di ricorso sollevati dai ricorrenti (i legali di Berlusconi e degli altri tre imputati, Daniele Lorenzano, Gabriella Galetto e Frank Agrama, condannati anch’essi), ricapitolando le ragioni dell’accusa, che nei due gradi di giudizio precedenti aveva sostenuto, come si legge a pagina 181, l’esistenza di un sistema che «ha permesso di alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere, conti correnti intestati ad altre società che erano a loro volta intestate a fiduciarie di Berlusconi».Nessuna frode a sua insaputa. Il Cavaliere è stato condannato per aver evaso 7,3 milioni di euro provenienti dalla compravendita di film prodotti negli Stati Uniti e, secondo la Cassazione, «non è verosimile che qualche dirigente di Fininvest abbia subito truffe milionarie per vent’anni senza accorgersene». Non solo: gli ermellini della Corte fustigano «l’assoluta inverosimiglianza dell’ipotesi alternativa», sostenuta in udienza dai legali del Cavaliere, «che vorrebbe tratteggiare una sorta di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi» da «personaggi da lui scelti e mantenuti, nel corso degli anni, in posizioni strategiche e nei cui confronti non risulta essere mai stata presentata alcuna denuncia». Insomma, ripetono le motivazioni, l’ex premier non poteva non sapere, perché «ad agire era una ristrettissima cerchia di persone che non erano affatto alla periferia del gruppo, ma che erano vicine, tanto da frequentarlo tutti».La difesa: «motivazioni fuorvianti». Contro le motivazioni si è scagliato compatto tutto il Pdl: «Un teorema». E nel pomeriggio l’irritazione di Franco Coppi, Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali del Cavaliere, traspare da una nota congiunta in  cui parlano di «un collage delle precedenti decisioni», «una sentenza con una motivazione inesistente», del tutto «fuorviante e totalmente sconnessa dalla realtà dei fatti». I legali stanno lavorando alla stesura di un ricorso alla Corte europea per i diritti dell’Uomo di Strasburgo, che dovrebbe essere pronto entro il 9 settembre.