Attualità

Il Garante della Privacy. Il Garante: «Ragazzi, ogni post va pensato»

Arturo Celletti giovedì 15 settembre 2016
È un dovere capire le responsabilità. Sollecitare immediate risposte delle autorità. Chiedere ai gestori una collaborazione vera. Ma tutto questo non basta. La sfida vera è non rassegnarsi a una Rete discarica di insulti, di istigazioni all’odio, di giudizi liquidatori, di piccole e grandi cattiverie». Antonello Soro, Garante per la Privacy, riflette a voce bassa sulla storia triste di Tiziana e sulla follia di Rimini. Poi arriva al punto: «Bisogna investire nell’educazione digitale. Per i nostri figli è decisivo conoscere l’inglese, ma è altrettanto fondamentale capire le insidie della nuova società digitale». Insisto: precise piattaforme amplificano gli istinti più bassi. Vanno bloccate? Insisto anche io: puoi bloccare, puoi imporre la rimozione di contenuti, puoi pretendere verità... Tutto giusto, tutto importante. Ma così arriviamo sempre tardi; così possiamo limitare i danni, non evitare disastri. Arriviamo tardi? Puoi far rimuovere un filmato, puoi far cancellare una frase, ma magari un numero infinito di persone può già a« ver 'catturato' e rilanciato quel filmato. La repressione da sola non basta, ora serve investire sull’educazione in maniera decisa. Che vuole dire concretamente educazione digitale? Vuol dire spiegare limiti e opportunità della Rete, aprire una riflessione larga sul male e sul bene che prende forma dietro internet. Sarò più chiaro: prima di postare un video o di scrivere un giudizio occorre la stessa prudenza e la stessa responsabilità che ci guidano nella vita. Perchè la vita dei social non è vita virtuale. Basta questo? Troppo spesso il diritto alla riservatezza è considerato un bene prezioso quando riguarda la nostra vita e un anacronistico privilegio quando riguarda la vita degli altri. Io dico che questa consuetudine va contrastata con determinazione. Facebook e i social sul banco degli imputati? Troppo semplice, non possiamo cavarcela così. Non è la Rete il grande colpevole. La Rete ha solo la 'colpa' di moltiplicare un giudizio, di amplificare un grido. Ma la violenza che c’è nei social è la violenza che c’è in pezzi della nostra società. E allora la strada è educare. Consegnare alla rete pezzi della vita di persone può produrre effetti anche drammatici. Oggi possono non avere significato, domani possono riemergere e trasformarsi in una ferita insopportabile. Per questo dico: 'ragazzi riflettete sui rischi, fatelo sempre, senza essere mai superficiali. Il rispetto della dignità della persona è un bene prezioso. Per difenderlo serve intelligenza, non repressione».