Attualità

Stato-mafia. Napolitano: «Stragi '93 furono aut-aut allo Sato»

venerdì 31 ottobre 2014
Gli attentati del ’93 furono un «ricatto», una «pressione» per «destabilizzare tutto il sistema». Giorgio Napolitano, come annunciato, completa l’operazione Glasnost e pubblica sul sito del Quirinale il testo integrale (86 pagine) della deposizione al processo Stato-mafia. Traspare uno stato di inquietudine che attraversava tutte le istituzioni ai livelli più alti. L’allora presidente della Camera, oggi inquilino del Quirinale, riferisce con chiarezza i timori anche del predecessore Carlo Azeglio Ciampi su un possibile golpe.GLI ATTENTATI. Via Fauro a Roma, via dei Georgofili a Firenze e, la notte tra il 27 e il 28 luglio del 1993, in via Palestro a Milano e a San Giovanni Laterano e San Giorgio al Velabro nella capitale. Napolitano ha spiegato ai giudici come «la valutazione comune fu che si trattasse di nuovi sussulti di una strategia stragista dell’ala più aggressiva della mafia, si parlava allora dei corleonesi». Attentati «secondo una logica che apparve unica e incalzante, per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut-aut». Poi, che «potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o la destabilizzazione politico-istituzionale del paese era ed è materia opinabile», spiega. Anche se poi, a domanda del pm Di Matteo parla di «ricatto».QUEL BLACK-OUT MISTERIOSO. Sul timore di Ciampi (allora premier) di un possibile golpe, nella notte delle bombe, ha ricordato come ricorressero circostanze inquietanti ad avallare i timori, il riferimento è all’improvviso black-out a Palazzo Chigi: «Le tecniche del colpo di Stato di solito comprendono l’interruzione delle comunicazioni, l’isolamento del vertice del potere dal resto degli apparati del potere, un ingrediente classico». Per cui «quel che stava accadendo poteva indurre a parlare di tentativo o rischio di colpo di Stato».STOP AL CARCERE DURO. Napolitano ha invece risposto di non ricordare quando il pm Di Matteo ha chiesto se fosse venuto a conoscenza della nota sul carcere duro inviata in via riservata dal vice della Dia, De Gennaro, all’allora titolare del Viminale, Nicola Mancino (e da questi al presidente della commissione Antimafia Luciano Violante). Napolitano usa anche l’ironia per respingere l’assedio: «Ci stiamo allontanando di molti chilometri dal luogo, diciamo, della originaria sollecitazione di una mia testimonianza... Supponendo che io abbia una memoria che farebbe impallidire Pico della Mirandola... Ricordare ogni elemento, se mi fu data quella nota, come reagirono Tizio e Caio...»LA LETTERA D’AMBROSIO. Inviata nel luglio 2012 dal consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, deluso e amareggiato per le polemiche derivate dalla pubblicazione delle sue telefonate con l’ex ministro Nicola Mancino. D’Ambrosio, poi deceduto nel 26 luglio 2012 a causa di un infarto, esternava il «vivo timore di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». Per Napolitano quella lettera fu un «fulmine a ciel sereno». Non gliel’aveva annunciata, «mi aveva solo trasmesso un senso di grande ansietà e anche un po’ di insofferenza per quel che era accaduto».RISCHIO ATTENTATI. Napolitano ha spiegato di «essere stato informato, senza vedere carte, senza sapere di note del Sismi o di chicchessia». In quell’estate, ricorda, fece «una brevissima vacanza» a Stromboli». E nell’occasione rifiutò «un rafforzamento della scorta».