Attualità

L’intervista . «Quello scudo è garanzia, non privilegio»

Giovanni Grasso martedì 24 giugno 2014
«Quello dell’immunità è un tema delicato. Ma non vorrei, visto la presa che esso riveste nell’opinione pubblica, che qualcuno lo usasse come parafulmine per affossare l’intero provvedimento». Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, mette in guardia da polemiche strumentali sulla riforma del Senato e spiega: «Capisco le obiezioni e le perplessità. Ma se potessi scegliere tra nessuna forma di immunità per deputati e senatori e immunità per tutti, anche a rischio di qualche forzatura, preferirei senz’altro la seconda strada». Professor Mirabelli, il suo pensiero sembra controcorrente rispetto a quello prevalente nell’opinione pubblica... Credo che bisogna distinguere. Intanto c’è una forma di immunità, che prende il nome di insindacabilità, che è legata strettamente all’esercizio della funzione di parlamentare. Nessun parlamentare, per capirci, deve essere perseguito per le dichiarazioni fatte in aula o in commissione. Credo che su questo punto non possano esserci discussioni. Tra l’altro la Corte Costituzionale ha già dato una interpretazione abbastanza restrittiva di questo tipo di immunità. Il problema si pone quando l’immunità prevista per i deputati - che non possono essere arrestati, perquisiti o intercettati senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza - viene estesa ai senatori, che saranno o consiglieri regionali o sindaci. Insomma, gente che ha le mani in pasta nelle amministrazioni locali. È chiaro che la scelta di elezione indiretta, con il mantenimento del doppio incarico senatore-amministratore, qualche problema finisce per crearlo. Tuttavia l’immunità per quanto riguarda le intercettazioni, le perquisizioni o l’arresto, è una misura di garanzia destinata a evitare situazioni atipiche di controllo o di pressione sul parlamentare, non solo da parte della magistratura, ma anche da cittadini che potrebbero avere interesse a denunciare un parlamentare. Vorrei far presente anche che con 100 senatori siamo di fronte a un collegio molto ristretto: l’arresto di anche un solo membro potrebbe incidere in maniera determinante sul funzionamento dell’organo. C’è chi propone: immunità anche per i senatori, ma solo per le attività strettamente connesse con l’attività parlamentare e non per quelle che riguardano l’attività amministrativa... Mi sembra un discorso di difficilissima attuazione. Pensiamo solo al caso delle intercettazioni: come si fa a distinguere? Del resto, succede così attualmente anche per i deputati che hanno una loro propria attività professionale. Non possono essere intercettati e basta. L’immunità, in casi come questi, non può essere limitata a campi specifici, ma diventa a tutti gli effetti una garanzia che copre non solo il ruolo, ma la persona. Un’altra proposta è: immunità ai deputati, non ai senatori. Da un punto di vista costituzionale credo che sia improponibile.Siamo pur sempre di fronte a un sistema bicamerale, sia pure imperfetto. Se chiediamo a deputati e a senatori di fare le stesse cose, ossia di esaminare le leggi, non possiamo immaginare due livelli diversi di garanzie. Lei ha parlato prima di problemi legati al doppio incarico dei senatori. Ce ne sono altri? Penso per esempio ai sindaci delle grandi città, che sono oberati di impegni. Non è francamente possibile che si trasferiscano tre o quattro giorni alla settimana a Palazzo Madama, abbandonando le loro città. Bisognerebbe allora che si prevedesse una disciplina in caso di impedimento legato alla funzione ammini-strativa, magari prevedendo la possibilità di mandare in Senato dei supplenti. Lei pensa che ci sarà lo spazio per migliorare il testo? Mi auguro di sì. Del resto, il passaggio dalla commissione all’aula serve proprio per procedere a miglioramenti dell’impianto della legge. Non serve stravolgere nulla, ma c’è certamente bisogno di una riflessione per esaminare e mettere a punto la coerenza del sistema. Naturalmente questo è possibile se prevale in tutte le forze politiche uno spirito costruttivo. Presidente, i senatori non verranno più scelti dai cittadini, le Province saranno abolite. Se guardiamo al progetto di legge elettorale, che prevede il listino bloccato di candidati, non si sta restringendo lo spazio democratico del Paese? Ritengo che molto dipende dal sistema elettorale: se abbiamo una legge che prevede dei deputati nominati, invece che eletti, è chiaro che si verificherà un maggiore allineamento verso chi li ha nominati. La chiave di volta è nella legge elettorale e, anche, nell’organizzazione dei partiti. La Costituzione prevedeva che essi dovessero organizzarsi «con metodo democratico». Ma è una parte che è stata sempre disattesa.