Attualità

Addio al regista. Quella volta che Zeffirelli raccontò: «Sono un aborto mancato»

Marina Corradi mercoledì 19 giugno 2019

Zeffirelli bambino a Firenze

«Il miracolo di sentire germogliare nel proprio ventre una nuova vita, il vederla sbocciare e vederla venir su rende voi donne più forti. Anche se alla fine i figli vi deludono, gli anni della creazione della vita nessuno ve li toglierà mai (..) Che poi quello sia divenuto un assassino, un papa? Non importa».

È un inno alla maternità la testimonianza di Franco Zeffirelli a un convegno dei Centri aiuto alla vita a Montecatini Terme, nel ’93, ieri pubblicata su Vita.it. Nel ’93 il regista aveva 70 anni, ma la passione con cui parla di sua madre, di ogni madre, della Madonna, è quella di un innamorato. Eppure, dice con spietata franchezza Zeffirelli di sé, «io sono un aborto mancato».

Firenze, estate del 1922. Nel Paese gli squadristi avanzano, si prepara la marcia su Roma. Una donna sposata, con tre figli, resta incinta di un altro. Molti sanno, è scandalo. Tutti le dicono: abortisci. Lei, forte, non cede. Avrà quel bambino. «Morirei di rimorso, nel pensiero di aver avuto tre figli e di aver distrutto un’altra vita», dice. Il bambino nasce a febbraio del 1923, il cognome gli viene dato in ospedale. Ma tutti sanno che è figlio di n.n. Glielo cantano in coro i compagni, all’oratorio fiorentino di San Marco, ridendo. Uno gli grida, un giorno: «Tua madre è una puttana».

E giù botte allora, rabbiose botte fra bambini. In quell’oratorio vive come un frate laico un signore con gli occhiali. È Giorgio La Pira. Quel giorno interviene a dividere la rissa, domanda che è successo, incupito si tira dietro il piccolo Franco in cima allo scalone dell’antico palazzo. Lassù c’è l’Annunciata del Beato Angelico. «Guarda», dice La Pira al ragazzino. La maestà dell’Annunciazione emerge da un rosa aurorale, come nel silenzio di un’alba. L’Angelo attende un 'sì' di una creatura, Dio attende il 'sì' di una donna. Maria con le mani si copre il grembo, china il capo.

La voce di La Pira è forte, commossa: «Non vergognarti mai. La maternità è sempre santità. Qualunque cosa dicano di tua madre, tu la devi pensare sempre come una santa perché è come la Madonna, e quando avrai bisogno di qualcosa nella vita prega la Madonna e pregherai tua madre». Il bambino, ancora sudato dalla rissa, tace. Ma non dimenticherà.

Pensava a sé, fino a quel giorno, come a un 'bastardino', e la sua stessa nonna gli aveva confessato di averlo ferocemente non voluto, e gliene aveva chiesto perdono. Sono ferite profonde, che ben difficilmente si rimarginano in un uomo. Eppure, c’è in Zeffirelli una radicale certezza: «Sono stato amato nel ventre di mia madre, ho assorbito tanto di quell’amore, l’ho sentito, mi è entrato addosso. Mia madre l’ho persa che avevo sette anni, però sono rimasto impregnato del suo amore», confessa a braccio alla gente dei Centri aiuto alla vita, a settant’anni.

Una storia d’amore con una madre che lo aveva voluto comunque, contro ogni sguardo, contro ogni cattiva parola, in quell’Italia ormai fascista. Il figlio che non doveva nascere è nato. Lo schernivano, si sentiva nato per errore, come un clandestino. Un grande cristiano lo ha messo davanti all’Annunciata del Beato Angelico, all’istante in cui il Creato intero attende, muto, il cenno di una giovanissima donna.

La testimonianza di Zeffirelli canta alla maternità, a ogni maternità, non attesa, o 'sbagliata', o 'inopportuna'. Non guardate a questo, sembra dire, guardate al miracolo: ogni figlio lo è. E in questa Italia di culle vuote, e con tanti figli che ogni giorno sono annientati con prescrizione del medico della Asl, dovrebbe farci pensare, ciò che ci dice il Maestro che ci ha spesso incantato. Cosa avremmo perso, se non fosse nato. Che cosa tragicamente perdiamo, ogni volta che un figlio viene abortito. Le parole del regista, rilette 26 anni dopo, paiono un testamento: un messaggio alla terra in cui è venuto al mondo, ai vicoli e ai cortili delle nostre case - da tempo, ormai, troppo silenziosi.