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Coronavirus. In Val Seriana impennata di polmoniti virali già ad ottobre 2019

Luca Bonzanni giovedì 2 aprile 2020

Bergamo Ottobre 2019. Anche sei mesi, oggi, paiono un orizzonte temporale infinito; eppure, col senno di poi, qualche sentore forse s’era già intuito. È già in quel periodo che in val Seriana, l’epicentro del disastro Covid-19, si registra una strana impennata di polmoniti virali. Il messaggio passa tra alcuni medici e giunge sino ai radiologi. Il contagio pare già essere parecchio aggressivo. L’esempio arriva da una famiglia di Cerete, 1.500 abitanti sulla riva del Borlezza, torrente che finisce nel lago d’Iseo. Prima si ammala un 47enne, non fumatore, sempre in buona salute; suona anche il trombone, strumento a fiato, dunque i polmoni sono forti. Dopo i primi giorni di febbre e tosse, col respiro sempre più fragile specie di notte, l’uo- mo si rivolge al proprio medico di base: dopo la visita, viene indirizzato immediatamente al pronto soccorso.

L’uomo si reca all’ospedale di Esine, in val Camonica (è originario di quelle zone e lì lavora), dove le lastre evidenziano una polmonite in corso. Il decorso sarà lento, parecchio lento, anche per un fisico forte. Ma nel frattempo il contagio si era esteso anche alla compagna, 32 anni, senza particolari problemi di salute alle spalle: «Ho iniziato anche io con forte tosse e febbre, sempre più insistenti – racconta la donna –. La diagnosi del medico è stata una bronchiolite (che spesso si accompagna a polmonite interstiziale, ndr): due settimane di antibiotico hanno però avuto pochi effetti, la tosse è proseguita sino a dicembre». In sequenza la stessa patologia colpisce anche il figlio di appena tre anni mentre il padre del 47enne accusa un’infezione polmonare che lo costringe al ricovero all’ospedale di Esine, nosocomio che diventerà poi un altro avamposto nella lotta al Covid-19 che sta flagellando anche il Bresciano. «In queste settimane, alla luce di ciò che sta succedendo – prosegue la donna – mi tornano alla mente le parole del medico di base: 'Ma hanno tutti la polmonite da queste parti?', si chiedeva dopo la visita al mio compagno.

E la stessa cosa dissero in ospedale quando il mio compagno fece le lastre per la polmonite». Più voci, informalmente, hanno confermato che già nei mesi scorsi il numero di malattie respiratorie era anomalo. Spesso raddoppiate, un incremento certo legato alla dimensione ridotta di certi Comuni delle valli: ma in centri così piccoli, anche 15-20 casi in poche settimane – questi i numeri indicati da alcuni medici dell’area – paiono indice di un sospetto. Resta un tassello mancante nelle tempistiche. Perché il coronavirus diventa di pubblico dominio in Cina solo a dicembre, mentre in Italia il focolaio del Lodigiano si disvela ufficialmente il 21 febbraio.

Nei Comuni di alcune valli, si sono registrati 15-20 episodi analoghi in poche settimane. La ricerca di Regione, Asst e Ats lombarda: i primi passi del contagio a gennaio In un piccolo centro, si ammalarono in serie tre generazioni: una coppia, il figlio e il nonno. «I dottori dicevano: ma qui prendono tutti la polmonite?»

Ma in terra lombarda circolava da ben prima: una ricerca di Regione, Ats e Asst lombarde pubblicata nei giorni scorsi inquadra infatti i primi passi del contagio da coronavirus a inizio anno. Avvenire, sempre nei giorni scorsi, aveva dato conto dell’allarme dei medici bergamaschi per febbri e malattie respiratorie sin da metà dicembre, con un addensamento soprattutto nella Bassa. L’incastro di date porta a un’altra considerazione, cioè come il dramma sia stato sottostimato e come certi indizi non abbiano ricevuto il dovuto peso, nella catena gerarchica che scorre dai medici di base sino ai vertici delle autorità sanitarie, in Bergamasca così come in tutta la Lombardia. E, a cascata, nel resto d’Italia.

«Ottobre come data di un possibile focolaio non si può dimostrare – è la cautela di Paola Pedrini, segretario generale lombardo della Federazione italiana medici di medicina generale –. Ma sicuramente nei mesi precedenti all’emersione ufficiale dei contagi si erano registrate delle ondate anomale di malattie respiratorie, e in particolare di polmoniti, specie in alcune zone della Bergamasca. Perché si è sottovalutato? Dicembre e gennaio sono mesi che si sovrappongono a quelli delle classiche influenze, quindi in tanti sono stati portati a dare la colpa ai virus di stagione.

Col senno di poi, quei casi si possono invece ricondurre all’emergenza che è in corso». E c’è una lezione che l’emergenza può dare. Lo chiedono le troppe vite spezzate, molte di più di quelle fotografate dai dati ufficiali. «Quei casi sono stati sottovalutati, qualcosa nella comunicazione e nel coordinamento non ha funzionato – rileva Pedrini –: servono dipartimenti di igiene più forti, che monitorino in maniera più approfondita le situazioni epidemiologiche, per prendere in tempo i provvedimenti giusti».