Attualità

Il gesto. Quando don Peppe aprì le porte della parrocchia agli immigrati

Antonio Maria Mira lunedì 18 marzo 2024

L'accoglienza e il rispetto dei migranti è stata una battaglia di don Peppe Diana

Don Peppe già più di 30 anni fa aveva capito il dramma dei migranti, rifiutati e sfruttati. Spesso dallo stesso sistema criminale che il parroco denunciava. Il 25 agosto 1989 a Villa Literno, paese confinante con Casal di Principe, era stato ucciso Jerry Masslo, rifugiato sudafricano, bracciante nella raccolta del pomodoro e attivista per i diritti dei migranti. Il 24 aprile 1990 un altro evento drammatico, la “strage di Pescopagano”, frazione di Castel Volturno. Quattro immigrati africani e un italiano vennero uccisi dal clan La Torre, legato ai “casalesi”. Una punizione nel mondo dello spaccio ma condotta in modo violentissimo (alcune delle vittime erano totalmente estranee), provocato da una forte intolleranza verso i migranti che nell’area stava crescendo e della quale la camorra, molto sensibile nella ricerca del consenso, si faceva interprete a modo suo. La strage, infatti, era stata preceduta dalla comparsa di volantini con parole violentissime: “É aperta la caccia permanente al nero. Data la ferocia di tali bestie e poiché scorrazzano per il territorio in branchi, si consiglia di operare battute di caccia in gruppi di almeno tre uomini”.

Don Peppe non si era girato dall’altra parte ma ancora una volta aveva aperto la sua porta. Con impegno e condivisione. “Non c’era posto per loro” è una delle frasi del Vangelo dei giorni di Natale che più lo tormentava. Non c’era posto per i più poveri, per gli immigrati nei quali vedeva il rifiuto della stessa famiglia di Gesù. Così decise di impegnarsi e lo fece in modo molto concreto. “Lamentava l’assenza di una concreta possibilità di accoglienza per chi veniva da lontano - ricorda don Franco Picone, suo successore alla guida della parrocchia di San Nicola e oggi vicario generale della Diocesi di Aversa - e per questo citava spesso quel passo del Vangelo”. Ma non si limitava alla denuncia. Così, superando tutti gli ostacoli, aprì i locali della parrocchia dove faceva mangiare e dormire gli immigrati. “Non poche furono allora le critiche – è ancora il ricordo di don Franco - di chi a Casal di Principe pensava che ognuno deve restare dove è nato, non deve sottrarre lavoro. Ma don Peppe andò avanti spiegando che i disagi delle ingiustizie mondiali dovevano essere considerati responsabilità anche dei Paesi più ricchi”.

E dopo i primi immigrati africani la parrocchia ha accolto anche tante donne dell’Est Europa, sfruttate dalla prostituzione. Don Peppe le aiutava, anche a liberarsi da questa forma di schiavitù, nuovamente unendo carità e legalità. Sul web è possibile trovare un filmato di una festa di immigrati africani organizzata dal parroco e dai giovani che collaboravano con lui. Si canta, si balla e anche don Peppe partecipa battendo le mani e poi tambureggiando sul tavolo. “Ci venne l’idea di organizzare una serata di festa invitando tanti di quei ragazzi - ricorda Salvatore Cuoci presidente del Comitato don Peppe Diana -. Quella sera i ruoli erano capovolti: loro i padroni di casa serviti e riveriti e noi i camerieri. Tra risate e sfottò Peppe si affannava tra i ragazzi seduti a tavola. Era stato lui, che ne conosceva e aiutava tanti, a prodigarsi per farli venire. La cena finì con balli e canti, tra tamburi africani e tamurriate, per la gioia di don Peppe che le amava molto”.

Ma avrebbe voluto fare di più, come ricordò pochi giorni dopo la sua uccisione monsignor Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta. “Si rivolgeva con attenzione di madre ai suoi “ragazzi neri”... Il sacerdote della Chiesa di Cristo, don Peppino, li amava tanto. Li aiutava sempre anche con grandi sacrifici. E stava costruendo per loro una bella “casa d’accoglienza”. Ma gli uomini invidiosi della bontà l’hanno fatto stramazzare sulla soglia”.

Un sogno che si è realizzato dopo venti anni con la nascita nella parrocchia di San Nicola di uno sportello informativo e di segretariato sociale per gli immigrati intitolato al sacerdote. Un regalo a don Peppe ma anche un regalo di don Peppe che continua col suo esempio e la sua morte a indicare la strada del riscatto anche dei fratelli immigrati. Insomma, aggiunge con soddisfazione don Franco ricordando don Peppe, “una sua vittoria e uno dei modi più belli per tenere viva la sua memoria”. E l’accoglienza è continua. Ogni giorno si possono incontrare persone in parrocchia. “L’ultimo immigrato che abbia ospitato - racconta don Franco - è stato Gabriel che aveva problemi di alcol, stava in mezzo alla strada, non voleva andare in nessun centro, neanche della Caritas. Invece ha accettato di stare da noi, ha fatto un percorso per riprendersi e adesso è entrato nel circuito della Caritas diocesana”. Proprio come avrebbe fatto don Peppe.