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PUNTO POLITICO. Bersani ci prova, ma la certezza è una sola: se fallisce niente voto​

Arturo Celletti mercoledì 6 marzo 2013
Tutto come da copione. Pierluigi Bersani non sorprende la direzione del Pd e il Paese che aspetta un segnale. Spiega che Silvio Berlusconi impedisce un’intesa tra Pd e Pdl. E conferma l’idea di voler provare a convincere Beppe Grillo con 8 punti programmatici che (forse con la sola eccezione della richiesta alla Ue di una “correzione” di rotta rispetto al super-rigorismo) sembrano più un’agenda del M5S che una ricetta per risollevare un Paese affaticato. Annunciata era la strategia del candidato premier del centrosinistra: «Non corteggio Grillo, ma tocca a noi la proposta». Scontato era il no dell’ex comico: «Il Pd ha più punti di contatto con Berlusconi che con noi». Già scritto il via libera a una sola voce (appena un’astensione) della direzione del Pd alla sfida impossibile del segretario: se Pierluigi vuole provarci, è giusto che ci provi.Ora però si apre il confronto vero e Napolitano sarà sempre più protagonista. Il Colle concederà a Bersani la possibilità di tentare, un mandato esplorativo. Bersani proverà a capire chi è pronto a sostenere la sua agendina e tornerà al Colle con una risposta alla domanda di Napolitano: hai i numeri per formare un governo? I numeri non ci sono e (senza sorprese oggi inimmaginabili) Bersani presto dovrà valutare le . Non c’è più infatti solo il “voto subito”. Non lo vuole Napolitano, non lo vuole Berlusconi, non lo vogliono i mercati e non lo vuole il mondo imprenditoriale a cominciare dal leader di Confindustria Squinzi che avverte: «Tornare al voto sarebbe uno choc». Non lo vuole più nessuno questo voto. Anche nel Pd la linea prevalente è ormai chiara: il sostegno unitario a Bersani non vuol dire che se fallisce si va alle urne.È il giorno di Bersani, ma è anche il giorno di Mario Monti che all’improvviso sembra tornare centrale nella partita politica che sta per aprirsi. Il Prof dice di temere più l’ipotesi di un governo sostenuto da M5S che un ritorno alle urne: «Meglio tornare al voto che un governo anti Ue e contro le riforme», ripete con chiarezza. Ma anche Monti ha un piano che accenna a delinearsi dopo il faccia a faccia di due ore con Matteo Renzi: ricostruire un’area moderata-riformista e presentarla a giudizio degli italiani, probabilmente nel 2014. L’autorevolezza e il credito europeo del Professore e la novità dirompente del Sindaco “rottamatore”. Renzi non si sbilancia perché non c’è un calendario, ma in molti scommettono che se Bersani fallisse, si aprirebbe la strada per un “Governo del Presidente” sostenuto da Pd, Pdl e Monti. Durerebbe meno di un anno. Farebbe la manovra, tratterebbe con la Ue e proverebbe a cambiare la legge elettorale che ha prodotto questa drammatica situazione di ingovernabilità. Poi di nuovo alle urne. Questa è la partita del domani, quella dell’oggi si apre il venerdì 15 con la convocazione delle Camere. Poi subito il voto per i presidenti di Camera e Senato. Dario Franceschini parte nettamente favorito per Montecitorio (lì il Pd ha la maggioranza) ma Monti sarà certamente decisivo al Senato.​