Attualità

La sentenza. Provetta, il far west dell'eterologa

Francesco Ognibene giovedì 10 aprile 2014
L’articolo 4, terzo comma, della legge 40 non c’è più. Era al centro di uno dei quattro quesiti referendari respinti al mit­tente dal 75% di italiani che nel giugno 2005 non si reca­rono a votare sancendo il fallimento della proposta abrogativa. Ma ieri la Corte Costituzionale ha archiviato quella grande manifesta­zione di democrazia e fatto cadere uno dei punti fermi della legge approvata solo 10 anni fa a larga e trasversale maggioranza dal Par­lamento.  Coerentemente, i giudici costituzionali che avevano esa­minato i ricorsi di tre tribunali (Firenze, Catania e Milano) dopo u­na lunga camera di consiglio hanno deciso per l’illegittimità costi­tuzionale di altri tre commi della legge. Caduto il divieto di etero­loga, infatti, non hanno più senso le sanzioni (articolo 12, primo comma) ma vengono abrogati anche i commi 1 e 3 dell’articolo 9 che, in caso di eterologa, vietavano il disconoscimento di paternità per «il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti» ed escludevano qualsiasi «relazione giuridica paren­tale con il nato» da parte del «donatore di gameti» che neppure po­teva far valere nei confronti del bambino «alcun diritto né essere titolare di obblighi». In sostanza, abrogare il divieto di ricorrere al­la procreazione artificiale ottenuta con uno o entrambi i gameti (ma­schile e femminile) di soggetti estranei alla coppia di aspiranti ge­nitori apre un vuoto normativo nella legge che ora andrà in qual­che modo colmato, ovviamente in sede parlamentare.  Nel frattempo, in assenza di una regola, da ieri sulla fecondazione eterologa è di fatto possibile qua­lunque pratica e si sancisce il ri­torno a un far west dagli svilup­pi difficilmente prevedibili visto il fiorente mercato che – spesso ignorato dai mass media nelle cronache sulla vicenda giudizia­ria – prospera sul comprensibile desiderio di molte coppie di ave­re un figlio. I giudici costituzio­nali comunque non hanno toccato nessun altro divieto della leg­ge 40, che quindi resta per la sua quasi totalità ancora in vigore, seb­bene le associazioni radicali promotrici dei vari ricorsi (come dei falliti referendum di 9 anni fa) continuino ad asserire il contrario. La prova che la legge è ancora al suo posto salvo che nel numero massimo di embrioni producibili (tolto dalla Corte nel 2009) e nel­la congelabilità di quelli avanzati da ciascun ciclo di procreazione assistita se lo esige la salute della donna (non c’è infatti più l’obbli­go di impiantare in utero tutte le nuove vite suscitate in provetta) è nel fatto che pendono nei tribunali e davanti alla stessa Corte al­tri ricorsi per legalizzare pratiche ancora vietate dalla 40, come la diagnosi eugenetica preimpianto e l’accesso alla provetta di cop­pie non sterili ma portatrici di malattie genetiche.  «Sconcerto e dispiacere» ha espresso monsignor Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita che paventa una possibile «selezione riproduttiva» La legge, aggiunge, «era una for­ma di protezione e di maggior tutela per il nascituro. L’eterologa creerà più problemi: come verrà gestito l’anonimato dei donatori, già cancellato in alcuni Paesi?». In attesa di leggere le motivazioni della Consulta, nasce infatti in Italia la figura del «donatore di ga­meti » (nel mondo quasi sempre un venditore, con cataloghi con­sultabili online e caratteristiche somatiche o intellettive da sce­gliere e pagare di conseguenza), che la legge 40 ci aveva rispar­miato. È il mercato che, in nome della non discriminazione, torna a governare la provetta. Occorrerà saggezza per rimettergli le bri­glie.