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Le donne calpestate. Suor Giaretta: «Uomini, l'amore non si paga»

Alessandro Zaccuri sabato 7 agosto 2021

No alla tratta

C’è una frase che suor Rita Giaretta si è stancata di sentire: «Troppo spesso, durante gli incontri sulla tratta, qualcuno interviene per dire che lui non sapeva, davvero non immaginava quanta sofferenza potesse esserci dietro la prostituzione – racconta –. Ma questo è inaccettabile. Non è più possibile ricorrere all’ignoranza come giustificazione. Occorre informarsi. Più ancora, occorre formarsi e formare l’opinione pubblica». Suor Rita parla con cognizione di causa. Orsolina del Sacro Cuore originaria della provincia di Vicenza, nel 1995 si è trasferita con un gruppo di consorelle a Caserta e ha cominciato a occuparsi delle donne costrette a prostituirsi. «Allora la Domiziana era tristemente famosa per questo – ricorda –. L’immigrazione era agli inizi ed erano in moltissime a finire sulla strada, perché ingannate o perché ridotte alla disperazione. Oggi la situazione è ancora difficile, ma nel frattempo sono nate tante esperienze di solidarietà, spesso sollecitate e sostenute dalla Chiesa locale».

La più significativa è proprio Casa Rut, il centro di accoglienza fondato dalle Orsoline a Caserta e legato alle attività del laboratorio di sartoria NewHope, nel quale lavorano le donne sottratte alla schiavitù. «L’indipendenza economica è uno degli elementi che più aiutano a riconquistare la dignità – sottolinea suor Rita –, ma il dato cruciale rimane quello della mentalità. E della mentalità maschile in particolare».

Da qualche tempo suor Rita opera a Roma, dove nel novembre scorso è stata inaugurata la comunità della Casa del Magnificat. «Per il momento è un piccolo segno – ammette la religiosa –. Non per questo, però, è privo di importanza. Anche a Roma, del resto, la prostituzione dilaga. L’altro giorno sono passata in pieno pomeriggio per viale Palmiro Togliatti e mi sono trovata davanti a uno spettacolo sconfortante. Ragazze giovanissime, in mostra seminude, senza che nessuno si preoccupi di quello che provano. Per me è stato l’ennesimo pugno allo stomaco. Come donna, come cristiana, come cittadina».

Partiamo dalla dimensione civile: «La responsabilità dello Stato è fuori discussione – ribadisce suor Rita, che fa parte del Coordinamento contro la tratta della Diocesi di Roma –. A dimostrarlo basterebbe il fatto che la prostituzione prospera nei territori in cui è più carente l’azione delle istituzioni. Una piaga così terribile non si affronta con iniziative episodiche, come la proposta ricorrente di confinare le prostitute nei cosiddetti "quartieri a luci rosse". Iniziative di questo tipo non fanno altro che ghettizzare e umiliare ulteriormente le vittime, a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali, che in questo modo riescono a esercitare meglio, e all’interno di un perimetro ben definito, la loro attività di controllo. Di questo stiamo parlando: di controllo, di potere, di denaro. Per qualche strano motivo, però, è sempre il corpo delle donne a essere controllato, sfruttato, messo sul mercato».

Le leggi, secondo suor Rita, possono dare un contributo, ma la risorsa decisiva è costituita dall’educazione. «Il paradosso – sostiene – è che mai come adesso disponiamo degli strumenti necessari, eppure non riusciamo a servircene. Anziché sfruttare la globalizzazione per diffondere la cultura dei diritti umani, lasciamo che a fare le spese di ogni crisi siano le donne provenienti dai Paesi più poveri. Stiamo mercificando la loro vulnerabilità, adeguandoci ancora una volta alla logica del profitto».

I passi da compiere sono semplici quanto urgenti: «In primo luogo – elenca suor Rita – bisogna dare un sostegno concreto a queste donne, restituendo loro la libertà e mettendole nella condizione di riscattarsi. Parallelamente, vanno attivati percorsi di informazione corretta e di sensibilizzazione, rivolti principalmente ma non esclusivamente agli uomini e ai ragazzi. La mentalità maschilista e patriarcale è più radicata e diffusa di quanto si voglia ammettere. Si manifesta nella pretesa di ridurre la donna al suo aspetto esteriore, immaginandola sempre disponibile e sottomessa. Pagare per una prestazione sessuale è solo la conseguenza di queste premesse. Ed è, in definitiva, un altro modo per affermare un potere inteso come aggressività e come pretesa di possesso. Anche il linguaggio della politica, purtroppo, contribuisce spesso a confermare questo pregiudizio».

La riflessione di suor Rita tocca anche la realtà ecclesiale: «Che non è affatto esente dal rischio di maschilismo – ribadisce –. Più in generale, mi pare che si faccia ancora fatica ad affrontare il tema della sessualità in una prospettiva di fede, riconoscendolo come aspetto fondamentale della personalità di ciascuno e di ciascuna. Papa Francesco lo ha ripetuto più volte, con estrema chiarezza: la tratta e la prostituzione disumanizzano sì la donna, ma anche il cliente. Non si può fare altro che partire dagli uomini, specie dai più giovani, educandoli a non temere la propria interiorità, eventuali fragilità comprese. Chi mette mano al portafoglio per comprarsi dieci minuti di piacere si sta buttando via, perché dentro di sé è convinto di non meritare di meglio. La prostituzione sarà sconfitta solo quando ci si renderà conto di quanto sia pericoloso confondere l’amore con il potere. A questo dobbiamo puntare: al momento in cui a un ragazzo sembrerà assurda l’idea stessa che una donna possa essere in vendita».

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