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ITALIA ALLA PROVA. Le opposizioni: «Pronti a governare, ma via il premier»

Roberta D'Angelo giovedì 3 novembre 2011
Salgono al Colle per «formalizzare»: Pd e Terzo polo sono disposti a entrare in un governo di transizione, purché Berlusconi molli. Ma, ancora una volta, di fronte all’inamovibilità del premier, tutto resta nelle mani degli insoddisfatti della maggioranza. E dunque la possibilità di un cambio della guardia si potrà verificare solo alla prima occasione di voto in Parlamento. Ma sono Pier Ferdinando Casini e compagni a spiegare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che la disponibilità della triade ci sarà solo su un programma e un’alleanza chiari.Dopo le telefonate del giorno precedente, le delegazioni dei partiti di opposizione spiegano faccia a faccia al capo dello Stato le rispettive posizioni, mosse da un unico denominatore, che prevede l’uscita di scena di Berlusconi. Napolitano vuole avere un quadro chiaro delle possibili soluzioni in caso di crisi, visto che la situazione resta tutt’altro che definita da parte dell’esecutivo, a poche ore da quel G20 che potrebbe umiliare l’Italia in assenza di provvedimenti concreti. Al Quirinale non è arrivata ancora una soluzione su carta firmata dal governo. Il ministro Tremonti si presenta da solo, ma senza nulla in mano, mentre la delegazione del Pdl, convocata di lì a poco, slitta a questa mattina. E allora il presidente convoca prima il polo di Fini e Casini e poi Bersani. Mentre resta fuori dal giro di consultazioni, almeno in prima battuta, quell’Antonio Di Pietro che più volte ha messo i bastoni tra le ruote all’incontro tra l’ala più moderata delle opposizioni e il Pd.L’idea di prendere in mano la situazione catastrofica del Paese e intestarsi misure impopolari non è facile da digerire. Ed è proprio il Terzo polo a chiedere garanzie al capo dello Stato. «Certamente siamo indisponibili a concorrere su finte soluzioni» così come ad «inseguire la comunità internazionale con furberie», spiega Casini. Questo vuol dire che «non c’è una pregiudiziale ostile verso il premier, ma la constatazione che, dalle Piramidi al Paese più sperduto, siamo gli unici a non prendere atto del suo problema di credibilità. Gli italiani rischiano di pagare la pervicacia di Berlusconi a restare a Palazzo Chigi». Detto questo, però, Casini e i suoi alleati sono disponibili, ma molto prudenti. «Non si è trattato di una consultazione formale e quindi non è stato fatto alcun nome» per la guida di un possibile nuovo governo, mette in chiaro l’ex presidente della Camera. Per ora, però, quello che serve sono numeri in Parlamento. «Questo – ragiona il leader dell’Udc – non è più il momento delle furberie ma pensiamo che molti siano coloro che sono disponibili» ad uscire dalla maggioranza e che «pensano di farlo». E allora, incalza il leader dell’Api Francesco Rutelli, «la svolta può scaturire solo da un moto di responsabilità repubblicana che scaturisca dalle file della attuale maggioranza».Il Pd, invece, punta di più sulle spaccature interne al governo, per muoversi. Napolitano chiede per due volte a Bersani se sarebbe disposto a un governo di transizione, rinunciando per ora al voto. Il segretario democratico conferma. «Il Pd è pronto ad assumersi le responsabilità in un governo di transizione ed emergenza. Senza discontinuità ogni provvedimento è inutile». E allora, insiste il leader piddì, «non è più accettabile la sottovalutazione di ciò che sta avvenendo. Chi sottovaluta si prende una responsabilità storica».Occhi puntati su Palazzo Chigi, dunque, e sulle divisioni interne, in attesa dei riscontri in Parlamento. Ma è ancora una volta Umberto Bossi, ultimo convocato al Quirinale e solo in serata, a escludere un passo indietro di Berlusconi, «tanto non lo fa». Quanto a concordare le misure anti-crisi, il leader della Lega resta scettico: «Bisogna vedere che vuol dire», visto che il Carroccio, neanche di fronte agli ultimi dati si rassegna a toccare le pensioni. Piuttosto minaccia «la rivoluzione».