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Extraprofitti. Il governo cambia versione. Le banche potranno evitare la tassa

M.M. sabato 23 settembre 2023

La discussa tassa sugli extraprofitti cambia, come era prevedibile per un provvedimento ampiamente contestato (anche in seno alla maggioranza), e non concordato né con Bankitalia, né con l’Abi. La novità arriva con un emendamento (che dovrebbe essere depositato a breve in Senato), frutto di un accordo faticoso tra le forze di governo dopo le pressioni di Forza Italia, il partito più avverso alla misura nella coalizione.

Le modifiche principali sono due, anticipate ieri mattina dal Corriere della sera e dal Messaggero: la prima riguarda l’entità del prelievo, l’altra la possibilità di evitarlo a precise condizioni. L’imposta, sarà calcolata applicando l’aliquota del 40% sull’ammontare del margine di interessi dell’esercizio 2023 che eccede per almeno il 10% il medesimo margine dell’esercizio 2021. ll tetto massimo dell’imposta straordinaria sarà elevato però dal 0,1% al 0,26%, ma su una base imponibile più esigua: l’importo globale «dell’esposizione al rischio su base individuale», come si legge nella bozza dell’emendamento, il che esclude il margine di interesse sui titoli di Stato. La versione precedente veniva calcolata in modo differente sul bilancio 2022 (eccedenza del 5%) e su quello 2023 (eccedenza del 10%).

«In luogo del versamento» (la seconda importante novità), le banche potranno destinare «a una riserva non distribuibile un importo pari a due volte e mezza l’imposta». Ma la somma, secondo quanto si legge, verrà computata «tra gli elementi del capitale primario di classe 1», ovvero va a rafforzare il patrimonio delle banche. Inoltre la tassa portata a patrimonio dovrà essere versata all’Erario in un secondo tempo «solo nel momento in cui quel patrimonio dovesse essere distribuito agli azionisti». Senza contare «il divieto alle banche di traslare gli oneri derivanti» dalla tassa «sui costi dei servizi erogati nei confronti di imprese e clienti finali».

Nonostante le modifiche, il governo conta comunque di recuperare tra i 2,5 e i 2,7 miliardi, destinati a rifinanziare le misure per il mutuo sulle prime case. Ma oltre che a ridurre la pressione fiscale di famiglie e imprese, andrà anche a rimpinguare il fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale, che assicura i prestiti delle banche a favore delle piccole e medie.

Proprio per garantire il mantenimento del gettito di 2,7 miliardi la soglia dello 0,26% sarebbe più alta di quella prevista dalle prime ipotesi contenute negli emendamenti di Forza Italia (0,15%-0,18%),. Ad ogni modo l’emendamento sarebbe già stato inviato alla Ragioneria dello Stato per la bollinatura e il governo conta di portarlo a Palazzo Madama il prima possibile.

L’accordo di Palazzo Madama soddisfa il segretario azzurro Antonio Tajani, che ancora venerdì sera aveva confidato di sperare in un cambiamento: «Il governo accoglie la sostanza delle nostre indicazioni, per questo ritireremo gli emendamenti presentati. Abbiamo dato segnali chiari e rassicuranti ai risparmiatori – prosegue – agli investitori e al sistema finanziario. Molto importante l’esclusione della tassa nel caso in cui le banche decidessero di capitalizzare e non versare la tassazione».

Meno contenta, forse, sarà Meloni, che ha più volte rivendicato il provvedimento come una sua esclusiva decisione, per altro già ampiamente bocciata dalla Bce, infastidita dalla mancata concertazione e comunque decisa a negare la possibilità di usare una tassa una tantum per risanare il deficit.