Attualità

Reportage. Il primo raggio di luce sulle tende di Rosarno

Antonio Maria Mira venerdì 10 gennaio 2014
Una piccola luce nel buio della tendopoli ormai sempre più baraccopoli di San Ferdinando, dove tra degrado e primi casi di infezioni vivono ormai circa 1.200 immigrati, senza elettricità né riscaldamento, metà nelle tende della protezione civile e metà in decine di baracche di rami, teli di plastica e corde. E proprio in una di queste si è accesa la luce, è una piccola chiesa che si illumina, grazie a una batteria, ogni domenica sera per la messa e durante la settimana per momenti di preghiera. C’è un tavolino come altare, alcune panche, una croce di metallo offerta da un artigiano di Rosarno e perfino una piccola campana. La chiamano "la chiesetta dei cristiani", nata su iniziativa di don Roberto Meduri, parroco di S. Antonio al Bosco di Rosarno, insieme agli stessi immigrati sia cattolici che di altre confessioni cristiane. E infatti alcuni momenti di preghiera sono interconfessionali. Prima tutto al buio, come il resto della vita degli immigrati, ora con la luce fornita dalla batteria. Un bel segnale di speranza come la piccola moschea nata in un’altra baracca a poche decine di metri.Convivenza e autogestione, con molta dignità, pur nel dramma degli immigrati nella Piana di Gioia Tauro. Dopo l’allarme lanciato da Avvenire un mese fa dopo la morte di un giovane liberiano, la situazione è peggiorata. I medici di Emergency, che operano nella zona grazie alla collaborazione con la parrocchia di S. Marina Vergine di Polistena, hanno segnalato alla Asp di Reggio Calabria tre casi di scabbia e un focolaio di tubercolosi. Ce lo riferisce il sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi. «Sto facendo disinfestare le tende ma gli incaricati mi dicono che non possono intervenire nelle baracche. E devo fare tutto solo coi fondi del comune. Infatti malgrado le promesse non ha ancora visto un euro, né dal ministero dell’Interno né dalla Regione. Ci hanno lasciati soli». Non si sono visti i 40mila euro del Viminale annunciati sempre un mese fa dal Prefetto di Reggio Calabria che dovevano permettere di portare l’elettricità. E allora, ripete, «anche per questo dovrò usare fondi del comune che però non si può certo permettere di pagare 7mila euro al mese».Intanto va avanti l’inchiesta della procura di Palmi. Dopo vari sopralluoghi nella tendopoli e l’acquisizione di documenti, il procuratore Giuseppe Creazzo sarebbe intenzionato a incontrare il nuovo prefetto per cercare di smuovere qualcosa, perché la situazione potrebbe precipitare. E allora il sindaco rivela: «Ho pronta l’ordinanza per lo sgombero. Vorrei non usarla per evitare tensioni ma non posso aspettare la mannaia della magistratura. Non posso tenere io in mano il cerino acceso». Ma sarebbe dramma su dramma. Dove andrebbero gli immigrati? Oltretutto ce ne sono già almeno altri duemila sparsi nelle campagne, gli "invisibili". Intanto nella tendopoli si cerca di vivere malgrado tutto. È incredibile come la baraccopoli sia sorta in modo ordinato con le baracche tutte in fila come un villaggio, con strette vie e piazzette dove gli immigrati mangiano. Ma dietro l’ultima fila di baracche cumuli di rifiuti che nessuno raccoglie (ogni tanto vengono bruciati) e un rigagnolo di acqua sporca, dove scorrazzano cani randagi e qualche pecora. E già perché poco più avanti c’è una sorta di bazar con le baracche spaccio alimentare, le baracche ristoro dove si cucinano e si vendono polli e carne di pecora. Tutto insieme, con ordine ma evidentemente con scarsissima igiene (l’unica acqua calda è quella prodotta su fuoco a lega e venduta a 50 centesimi a secchio).Ma la vita va avanti, poco lavoro ma tante speranze come ha scritto un immigrato su una maglietta stesa tra le baracche: «For a new life», per una nuova vita. Per fortuna niente tensioni con gli abitanti locali. È domenica mattina e un gruppo di ghanesi va alla celebrazione nella parrocchia. Al termine don Roberto invita gli immigrati a intonare un loro canto in lingua "twi" e i bambini rosarnesi a ripetere il ritornello: «Maria madre di Gesù aiutaci». Già, ce n’è proprio bisogno. All’uscita dalla chiesa un immigrato prende da parte don Roberto e gli chiede sotto voce un po’ di pasta.