Attualità

Il testimone. «Io, prigioniero di Sla e burocrazia»

Salvatore Mazza domenica 23 maggio 2021

L’aspetto più odioso della burocrazia è quando ti accorgi di essere stato preso in giro. Quando scopri che i tuoi interlocutori si fanno scudo citando articoli e commi di leggi e decreti indecifrabili per noi comuni mortali, e che dietro ai profluvi di parole inutili viene nascosta la precisa volontà di tirarti un bidone. Un’esperienza che, purtroppo, la mia famiglia ha vissuto già molte volte, ma che ogni volta che si ripete suona più dolorosa che mai.

L’esempio più recente è, forse, anche il più beffardo. Il primo giorno di aprile sono stato dimesso dall’ospedale dopo le tre settimane di ricovero necessarie per la tracheostomia, resosi indispensabile visto che la Sla aveva azzerato la mia capacità di respiro autonomo. Dimissioni possibili solo dopo l’approvazione da parte della mia Asl, Rm1, del Piano di assistenza individuale (Pai), proposto dal Centro Nemo dove sono in cura in modo tale da coprire le dodici ore diurne, dalle 8 del mattino alla sera alle 20. Il massimo possibile.

L’accettazione del «Piano di assistenza individuale»
senza alternative, gli ostacoli insuperabili
nella gestione della vita quotidiana,
la frustrazione di richieste senza ascolto
La battaglia di un paziente e della sua famiglia


E la notte? Niente, l’assistenza pubblica – lo sappiamo e ci viene ribadito – non prevede questa possibilità. È un problema nostro. Così mia moglie si informa su quanto potrebbe venire a costare un’assistenza notturna con personale addestrato, ma al minimo si parte da 2.500 euro. Niente da fare, abbiamo scherzato. Come al solito ci dobbiamo arrangiare. O, meglio, si deve arrangiare mia moglie.

Una manifestazione a favore dei malati di Sla - Ansa

Così, insomma, torniamo a casa con non poche preoccupazioni in più, come se quelle che già avevamo non fossero state abbastanza. Fin dal tragitto in ambulanza dall’ospedale a casa ci rendiamo conto che la realtà è molto cambiata: ho continuamente bisogno di essere aspirato, perché il minimo sussulto mi fa affogare nelle secrezioni, tanto che dobbiamo fermarci diverse volte lungo la strada, e arrivati a casa devo essere portato in barella fino al quinto piano, visto che sulla sedia, con il respiratore attaccato e l’aspiratore necessariamente sempre a portata di mano, in ascensore non c’entro più.

6mila
Persone attualmente affette da Sla in Italia
Ogni giorno si manifestano in media cinque nuovi casi

Nei giorni successivi, appare immediatamente chiaro che mia moglie non può sopportare da sola il peso delle notti, sette giorni su sette, un po’ perché non è che abbia tempo di riposare di giorno (è una madre di famiglia, con un marito invalido, con la casa sempre piena di infermieri, fisioterapisti, operatori sanitari, e in più c’è la battaglia quotidiana all’arma bianca con mille pratiche burocratiche), un po’ perché con tutta evidenza non bastano buona volontà e sapere come aspirare le mie secrezioni: la cosa è decisamente più complessa.

Ci sono due macchine in funzione tutta la notte, per la respirazione e l’alimentazione, che vanno spesso in allarme al minimo intoppo, e bisogna saperle gestire; e poi la mia posizione va periodicamente cambiata per cercare di prevenire decubiti, e tante altre cose piccole e grandi. Non parliamo di eventuali emergenze. Non è del resto un caso se tutto il personale che di giorno mi assiste è formato per questo lavoro.

40-70 anni
Fascia d’età in cui la Sla colpisce in prevalenza,
anche se ci sono casi di giovani e di anziani over 80

Ma di assistenza notturna neanche a parlarne. Perché? È una domanda che mia moglie ripete sino allo sfinimento. Fino a quando, quasi per caso, non scopriamo che non è vero. Una voce raccolta non so dove spinge mia moglie, aiutata dalle figlie, ad andare a spulciare tutte le leggi, i decreti e le delibere della Regione Lazio in materia di assistenza domiciliare. Da nessuna parte si dice che quella notturna non è prevista. Eppure è quello che ci hanno sempre lasciato intendere. Possibile? A questo punto mia moglie decide di chiamare la dottoressa che dirige l’Unità operativa complessa-Percorsi del primo Distretto della Rm1 per chiedere se è possibile coprire anche le notti.

6mila
Spesa mensile, in euro, sostenuta dalla famiglia
per assistere un malato non autosufficiente

La risposta è disarmante: tutto quel che si può fare è rinunciare a qualche ora di assistenza diurna e spostarla su una notte, «così almeno una notte può dormire», e del resto «chi sceglie di tenere a casa un paziente Sla in queste condizioni deve sapere a cosa va incontro». Mia moglie non si arrende. E il 22 aprile scrive alla dottoressa in questione un’email in cui, contestando nel merito e nella forma le frasi riportate sopra tra virgolette, torna a chiedere di darci l’assistenza notturna, come sarebbe nostro diritto. La stessa email è indirizzata a diverse altre persone, dall’assessore alla Sanità della Regione Lazio al Direttore della Rm1 in giù. La risposta, con tanto di numero di protocollo, arriva che è già maggio.

5%
Quota di casi dovuti a predisposizione genetica
Le alterazioni genetiche agiscono da fattori predisponenti

Tutta l’email del Direttore Uoc-Percorsi della nostra Asl è una difesa del suo operato, dove si parla di «frasi estrapolate» dal contesto e che il piano di assistenza è quello richiesto dal Nemo e firmato da mia moglie: si può «rimodulare » per riuscire a coprire una o più notti ma non si può aggiungere nulla perché, appunto, è stato firmato. In nessun punto – come volevasi dimostrare – si dice che il Servizio sanitario non eroga assistenza notturna. La sostanza della lunga risposta è tutta nelle ultime due righe, dove si dice che «tutto ciò premesso, qualora dovesse pervenire documentata evidenza di aggravamento clinico, sarà mia cura provvedere a nuova valutazione multidimensionale per eventuale modifica del Pai in atto».

150mila
Costo annuale, in euro, dell’assistenza completa
a un malato di Sla con deficit gravissimo

La replica di mia moglie è secca e breve. Evitando di mettersi in polemica, fa solo presente che il piano di assistenza firmato, peraltro prima del confronto con la realtà quotidiana, era l’unica opzione presentata, oltre a essere condicio sine qua non per la mia dimissione dall’ospedale, e che viste le mie condizioni l’unico aggravamento possibile è la morte. Quindi, di che parliamo? E poi, chi dovrebbe documentarlo? Nel rinnovare la richiesta per l’assistenza notturna, chiude invitando la dottoressa «a venire da sola o con lo specialista della Asl che riterrà più idoneo. Venite e in coscienza, come senz’altro farete, valutate». Ancora attendiamo risposta.