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L'INTERVISTA. Pozzi (Luiss): «Il rischio è uscire da settori strategici per il Paese»

Diego Motta martedì 19 novembre 2013
​Chi l’ha detto che privatizzare è facile e conveniente? «Messa nei termini indicati dal governo, la questione non sta in piedi. Corriamo il rischio di uscire da settori strategici per la nostra economia, ripetendo gli errori compiuti in passato» osserva Cesare Pozzi, docente di Economia dell’impresa alla Luiss di Roma.Ce lo chiede l’Europa, che vuole un abbattimento netto del debito. Non è d’accordo?Di questo passo, il mantra di Bruxelles che impone delle misure ai singoli Stati e puntualmente le ottiene, sta diventando una condanna. Siamo entrati in una crisi globale e per merito dell’austerity abbiamo fatto peggio. Non è un momento particolarmente felice per la burocrazia del Vecchio continente e, comunque, la Commissione ha già chiesto tanto e noi abbiamo dato in abbondanza.Cosa non la convince del dossier privatizzazioni?È un tema da inquadrare molto bene: si possono vendere società controllate o partecipate dallo Stato, ma occorre farlo valutando caso per caso. Prima dobbiamo chiederci qual è il tipo di <+corsivo>mission<+tondo> di queste aziende e cosa possono fare sul territorio. Si parla tanto della cessione di quote di Terna, ad esempio, e io penso che lo Stato in una fase così delicata per il mercato dell’energia, possa al contrario chiedere in questo campo di investire di più.Teme la svendita dei gioielli di famiglia?No, è sbagliato pensare solo alla generazione di cassa. Le questioni aperte sono tante e vanno dai contratti di concessione, alla rete dei fornitori fino al rapporto di queste società col territorio e con le loro comunità di riferimento. Il futuro di aziende come Eni, Enel o Ferrovie deve rientrare in un dibattito pubblico sul futuro industriale del Paese.Non c’è nulla che merita di essere almeno in parte ceduto?Forse si può mettere sul mercato una rete Rai, ma quanto vale e chi può comprarsela? Se arriva un soggetto straniero, è necessario capire le motivazioni strategiche che lo spingono a muoversi. Iniziamo a fare i conti sulle privatizzazioni del passato: dovremmo chiederci non solo quanto lo Stato ha incassato dalla vendita, ma anche quanto ha rinunciato in termini di dividendi e quanto è stato pagato all’estero. Telecom è un caso emblematico: era la più grande impresa europea e ora cosa è rimasto? L’industria delle telecomunicazioni sembra esser stata dimenticata da tutti. Il vero rischio è fare operazioni che indeboliscono il Paese generando non creazione, ma distruzione di valore.È la rivincita di Keynes in tempi in cui il libero mercato gode ancora di buona fama, nonostante gli eccessi dimostrati dalla crisi...Il mercato non può tutto: i cinesi forse si preoccupano  di rispettarne le regole? Semmai è cruciale discutere sulle leve strategiche da preservare per lo sviluppo del Paese, riportando capitali freschi nelle attività imprenditoriali. Bisogna attirare nuovi fondi, non solo sul mercato azionario.