Attualità

Il rapporto. «Porti chiusi, più morti in mare, vite umane come moneta di scambio»

Paolo Lambruschi giovedì 9 agosto 2018

(Ansa)

Sempre più morti sulla rotta del Mediterraneo centrale a fronte del drastico calo delle partenze e la crescita esponenziale di migranti detenuti arbitrariamente negli squallidi centri libici dopo essere stati fermati dalla Guardia costiera tripolina.

Conseguenze per Amnesty international delle politiche europee di chiusura, in particolare delle scelte recenti del nuovo governo italiano e di Malta, messi sotto accusa nel documento intitolato "Tra il diavolo e il mare blu profondo. L’Europa fallisce su rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale" che punta il dito contro "l’impatto devastante delle politiche che hanno provocato oltre 721 morti in mare solo da giugno e luglio 2018" nonostante la diminuzione dell’80% delle partenze rispetto al 2017.

«La responsabilità per il crescente numero di vittime è riconducibile ai governi europei, più preoccupati di tenere le persone lontane che di salvare vite umane», afferma Matteo de Bellis, ricercatore su asilo e migrazione per Amnesty International. «Le politiche europee – prosegue – hanno autorizzato la Guardia costiera libica a intercettare le persone in mare, tolto la priorità ai salvataggi e ostacolato il lavoro vitale delle Ong».

Ostacoli posti in particolare da italiani e maltesi. Amnesty segnala il drammatico aumento del numero di detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione sovraffollati in Libia, più che raddoppiato negli ultimi mesi, dai circa 4.400 a marzo ai più di 10.000 - tra cui circa 2.000 donne e bambini - a fine luglio. "Praticamente tutti sono portati nei centri dopo essere stati intercettati in mare e riportati in Libia dalla guardia costiera libica, equipaggiata, addestrata e supportata dai governi europei", accusa Amnesty che definisce i piani per espandere questa politica di esternalizzazione dei controlli nella regione "profondamente preoccupanti".

L’organizzazione in difesa dei diritti umani ricorda il fallimento europeo che ha impedito di rivedere le regole di Dublino sulla redistribuzione dei richiedenti asilo e che ha indotto l’Italia a negare l’ingresso nei porti alle navi che trasportavano le persone salvate, fossero di Ong, mercantili o navi militari straniere, perché venissero accolti da altri Stati. Così, sottolinea Amnesty International, sono state bloccate per giorni in mare persone che necessitavano di assistenza urgente.

L’accusa all’Italia è di "usare le vite umane come moneta di scambio". Il report denuncia anche violazioni del diritto internazionale come il respingimento in Libia di 101 persone da parte della nave commerciale italiana Asso 28 il 30 luglio, che avrebbe violato le norme europee sui respingimenti soccorrendo e poi riportando a Tripoli un centinaio di migranti tra cui 5 donne e 5 bambini. Per far luce sulla vicenda ieri 30 personalità della cultura, della politica, della società civile, giuristi e intellettuali hanno presentato un esposto alla procura di Napoli.