Attualità

CONSULTA E POLITICA. «Porcellum», vulnus alla Costituzione

Antonio Maria Mira sabato 13 aprile 2013
Il Parlamento è rimasto sordo alle nostre esortazioni». È molto duro il presidente della Corte Costituzionale, Franco Gallo, anche se assicura che «non è un rimprovero». Ma non si limita ad una generica accusa, citando non pochi casi in cui «le lacune segnalate da anni non hanno avuto seguito». Due in particolare. La legge elettorale con la netta segnalazione che «il "porcellum" è veramente sospetto di incostituzionalità per quanto riguarda il premio di maggioranza». E la questione del «riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri, della stabile unione» tra persone dello stesso sesso. Lo fa citando le sentenze nelle quali la Consulta aveva sollecitato «il legislatore a modificare una normativa» ritenuta «in contrasto con la Costituzione». 
L’occasione per questa presa di posizione è la riunione straordinaria della Consulta, alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Incontro pubblico, seguito da una conferenza stampa nella quale Gallo ha approfondito temi di attualità. Come quello della crisi economica. Un tema nuovo per la Consulta, ma non per Gallo, tributarista e ministro delle Finanze nel governo Ciampi. «Per affrontare la crisi – ha così sottolineato –, il legislatore statale può utilizzare solo gli strumenti e i rimedi previsti dalla Costituzione». Concetto rafforzato nella conferenza stampa: «Per quanto ci siano condizioni eccezionali, queste non possono vincere sulle norme costituzionali».
Ma certamente è l’accusa di "sordità" del Parlamento ai «solleciti» della Consulta a fare più rumore. «Tali solleciti – spiega Gallo – non possono essere sottovalutati». Il presidente sottolinea che «queste esortazioni non equivalgono al mero auspicio ad un mutamento legislativo, ma costituiscono l’affermazione che, in base alla Costituzione, il legislatore è tenuto ad intervenire in materia». Ed ecco i due "casi" più scottanti. Il primo riguarda le cosiddette "unioni gay", affrontate dalla Corte con la sentenza 138 del 2010. «In tale pronuncia – ricorda Gallo – la Corte ha escluso l’illegittimità costituzionale delle norme che limitano l’applicazione dell’istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna, ma nel contempo ha affermato che due persone dello stesso sesso hanno comunque il "diritto fondamentale" di ottenere il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri, della loro stabile unione. Ha perciò affidato al Parlamento – insiste – la regolamentazione della materia nei modi e nei limiti opportuni».
C’è poi «l’altra raccomandazione, tanto spesso richiamata nelle più diverse sedi politiche, a modificare la vigente legge elettorale». In particolare «gli aspetti problematici» sul premio di maggioranza che, a domanda dei giornalisti, Gallo definisce «sospetto di incostituzionalità». E tra i tanti inviti rimasti inascoltati c’è anche quello che riguarda il cognome: «L’attuale disciplina che prevede l’attribuzione ai figli del solo cognome paterno – spiega Gallo – è il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia». Dunque, serve «introdurre una normativa che abbia una maggiore considerazione del principio costituzionale di uguaglianza tra uomo e donna.
Il presidente, poi, respinge al mittente le accuse di «politicizzazione della Corte», difendendo la «funzione di garanzia», di fronte ai «possibili eccessi del potere politico e degli altri poteri». Piuttosto, aggiunge, «i poteri tendono a non risolvere i loro problemi, coi necessari bilanciamenti. E li scaricano sulla Consulta. Noi ci limitiamo a fare il nostro mestiere».
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