Attualità

DOPO L'ALLARME. Po, una ferita ancora aperta «Ora salvate il grande fiume»

Diego Motta mercoledì 14 aprile 2010
Per salvare il grande fiume occorrono idee chiare, tempi certi e molti soldi. Cinquanta giorni dopo lo sversamento di 2.600 tonnellate di idrocarburi nel Lambro, la marea nera è ancora un fantasma che si aggira lungo tutto il corso del Po e non lascia dormire sonni tranquilli a cittadini, amministratori e imprese. «Il primo giorno dell’allarme in Prefettura c’ero solo io» racconta oggi Sergio Montanari, sindaco di Monticelli d’Ongina, nel Piacentino, il Comune più colpito dal passaggio dei veleni inopinatamente partiti, quarantott’ore prima, dalla Lombarda Petroli di Villasanta, a due passi da Monza. Qui si sono riversati e hanno stazionato per giorni le tracce degli idrocarburi sversati in Brianza e bloccati dalla vicina diga di Isola Serafini. «Non ho ancora tolto l’ordinanza sul divieto di prelievo dell’acqua: voglio nuove garanzie oltre a quelle che mi hanno già dato, a partire dai riscontri sui livelli di inquinamento fatti in profondità, non in superficie» si sfoga il primo cittadino piacentino. I veleni sono rimasti sulla riva e la stagione delle piene potrebbe rimetterli in circolo, se i tempi per le bonifiche dovessero rivelarsi più lunghi del previsto. Perciò occorre fare presto e fare bene. Ci sono zone che sono state colpite più delle altre: il Polesine più della provincia di Ferrara, la Lombardia e il Lambro più del delta del Po. Lo dice chi ha risalito il grande fiume in queste settimane, verificando di persona lo stato di salute dell’ecosistema padano.«Ogni inquinamento a monte si ripercuote a valle – ripete Giorgio Zambetti, responsabile dell’ufficio scientifico di Legambiente –. Abbiamo incontrato pescatori e allevatori di specie protette, che sono molto preoccupati per gli effetti di lungo periodo che produrrà la marea nera». In realtà, i controlli fatti dalle Arpa regionali dicono che i valori relativi alla qualità dell’acqua restano ben al di sotto della soglia di attenzione. Secondo l’Aipo «non vi è mai stato reale pericolo di inquinamento nel Po a valle di Piacenza». Allora, perché tanto allarme? «Perché gli scarichi illegali delle piccole industrie continuano da un mese e nessuno interviene» spiega il sindaco di Monticelli d’Ongina, ricordando il pericolo degli "sciacalli". «Perché o si bonificano gli argini subito, oppure le conseguenze sull’irrigazione dei campi, che inizia tra poco, saranno pressoché certe» risponde Legambiente. Il nodo della messa in sicurezza delle rive non è effettivamente stato ancora sciolto. Dapprima, andranno individuati i siti che richiedono un intervento di rimozione degli idrocarburi. «Non dimentichiamo che il Po ha già mostrato una grande capacità di recupero e di autodepurazione nei giorni dell’emergenza» fa notare Francesco Puma, coordinatore della segreteria tecnica dell’Autorità di bacino. Nei giorni corsi, intanto, sono arrivati i primi fondi: 12 milioni di euro, destinati in gran parte a coprire le spese sostenute da enti locali e istituzioni nella fase dell’emergenza. Ce ne vorranno di più, molti di più, per garantire fino a marzo 2011 il complesso piano di bonifica. Si parla almeno di 100 milioni di euro di danni, da risarcire a chi ha subìto l’arrivo della marea nera. «L’analisi e il campionamento delle acque in questo mese è proseguita senza soste, così come gli studi tossicologici» spiega il presidente dell’Arpa dell’Emilia Romagna, Stefano Tibaldi. Quando, sotto la supervisione tecnica degli uomini della Protezione civile e del ministero dell’Ambiente, partirà il vero e proprio piano di risanamento, l’ispezione visiva si concentrerà su quei tratti del Po in cui l’acqua tende ancora a non fluire con velocità. «Lì si dovrà intervenire – aggiunge Tibaldi – per constatare i danni, valutare l’eventuale stato di sofferenza di fauna e flora, realizzare gli interventi di ripristino». Verranno rimossi legni e ramaglia ancora intrisi di idrocarburi e torneranno in azione skinner, strumenti già usati con «formidabile efficacia» durante le ore dell’emergenza. Particolare apprensione si registra ancora per l’oasi naturalistica dell’Isola de Pinedo, che ospita lanche, boschi e canneti in cui si muovono, tra gli altri, aironi, cormorani e falchi. «È una zona da preservare assolutamente» osserva Montanari. Che poi constata amaro. «Sul Po negli anni scorsi è sempre arrivato di tutto, persino la cocaina. In un certo senso ci siamo abituati: anche questa volta all’inizio pensavamo fosse una cosa che si potesse circoscrivere, ma col passare delle ore abbiamo iniziato a temere il peggio. Perché chi doveva intervenire subito sul Lambro non l’ha fatto?». Ecco l’altra partita decisiva di cui dovrà farsi carico in futuro la Regione Lombardia: la sfida lanciata insieme al ministero dell’Ambiente per il ritorno alla balneabilità ha come scadenza il 2015 ed è innegabile che, sia pur gradualmente, gli effetti positivi di un (nuovo) risanamento potrebbero farsi sentire anche sul Po. «Ora aspettiamo di uscire in fretta dalla logica dell’emergenza, che non paga più – ripete il primo cittadino di Monticelli d’Ongina –. Può essere l’occasione giusta per mettere in agenda le politiche a favore del grande fiume, che tutti promettono da anni e che nessuno mantiene».