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Pesaro. La procura stoppa il «doppio padre»: «No alla registrazione dei figli»

Marcello Palmieri mercoledì 4 luglio 2018

La procura di Pesaro

Torino, Roma, Catania. E pure Gabicce Mare (Pesaro) e Crema (Cremona). Sono alcuni dei Comuni che hanno trascritto certificati di nascita rilasciati da un Paese estero, relativi a bimbi “commissionati” da coppie omosessuali e ottenuti attraverso l’assemblaggio di diverso materiale genetico e la gestazione in un utero affittato.

Una pratica, quella della maternità surrogata, che la legge penale italiana vieta. E un riconoscimento, quello dell’atto di nascita estero, che cozza (anche) il nostro codice civile secondo cui madre (dunque genitore) è colei che partorisce. Ed ecco che, dopo mesi di silenzio, una Procura si è mossa per vederci chiaro.

E’ quella di Pesaro, che ha competenza sulla cittadina litoranea: notizia di stamattina è l’impugnazione della trascrizione dell’atto di nascita di due gemelli effettuata dal Comune, perché “non basta produrre un documento californiano con la scritta i gemelli hanno due padri per farci stare tranquilli”, hanno spiegato al Resto del Carlino i magistrati inquirenti, ma “sarà necessario”, hanno aggiunto, chiederanno “di sottoporre alla prova del dna bimbi e genitori intenzionali”.

Che sono due uomini, albergatori, che hanno 57 e 34 anni. A fondare l’iniziativa del sostituto procuratore Silvia Cecchi, per quanto si sa ora, non è il reato di maternità surrogata, ma la trascrizione del certificato estero. In parole povere, dunque, il fatto che per la legge – contrariamente a quanto natura vuole - quei bimbi possano essere ritenuti figli di due padri.

La questione, dal punto di vista giuridico, è molto intricata. Se è vero infatti che l’Italia, da un lato, è obbligata a riconoscere gli atti esteri validamente emessi nel Paese di provenienza, dall’altro il nostro diritto internazionale vieta ciò quando l’oggetto di un certificato sia contrario all’ordine pubblico, e cioè ai principi irrinunciabili del nostro ordinamento.

La Cassazione, con sentenza 24001 del 2014, aveva ritenuto impossibile riconoscere “genitori” – e proprio per contrarietà all’ordine pubblico - due persone che avevano comprato un bimbo attraverso la maternità surrogata compiuta all’estero. E attenzione: in quel caso, si trattava di una coppia etero, ma per i supremi giudici, in ogni caso, il fatto che l’utero in affitto fosse vietato dalle nostre leggi impediva il riconoscimento dei suoi frutti.

Da quel momento, però, le magistrature chiamate a decidere casi simili via via presentatisi (e resi ancor più problematici dal fatto che “committenti” hanno iniziato a essere pure coppie omosessuali) si sono rese protagoniste di sentenze contrastanti. Di sicuro, una situazione di fatto contraria a un principio cardine del nostro ordinamento, la certezza del diritto. Fatto sta che, ora, la trascrivibilità o meno dei certificati di nascita provenienti da maternità surrogata è ancora rimessa al giudizio della Suprema Corte. Stavolta – proprio alla luce della confusione creatasi – ha scelto di pronunciarsi a Sezioni unite. Quanto deciso, dunque, sarà pressoché vincolante per tutti i giudici chiamati a decidere casi simili. Il verdetto è atteso in autunno.