Attualità

Libia. Per le imprese italiane un miliardo di danni

Alessandro Bonini martedì 17 febbraio 2015
L’Italia è il primo partner commerciale della Libia, con poco meno di 11 miliardi di euro d’interscambio, pressoché dimezzati rispetto al 2008. Si capisce pertanto quale può essere stato il contraccolpo dell’attacco alleato che cinque anni fa rovesciò il regime di Gheddafi e quale potrebbe essere l’impatto di una nuova escalation nel Paese.  Il clima da polveriera e l’interminabile transizione hanno frenato la ricostruzione e il ripristino dei progetti avviati prima del 2011. Almeno il quadro delle relazioni resta tuttavia immutato: secondo i dati pubblicati dalla nostra ambasciata, l’Italia è ancora la prima destinazione delle esportazioni libiche (gas e petrolio) e la terza fonte di importazioni nel Paese nordafricano (principalmente prodotti derivati dalla raffinazione del greggio). In particolare, nei primi sei mesi del 2014 l’export dell’Italia verso la Libia è stato pari a 1,732 miliardi (-15,4%) e l’import a 3,054 miliardi (-58,6%). Ovviamente il gruppo italiano  più importante a operare in Libia è l’Eni. Di rilievo anche la presenza di Iveco, mentre Salini Impregilo si è aggiudicata nel 2013 la costruzione del primo lotto della famosa Autostrada dell’Amicizia, che dovrebbe correre per 1.700 chilometri dal confine con la Tunisia al confine con l’Egitto. Un progetto quest’ultimo finanziato dal governo italiano in base agli accordi presi nel 2008 tra Berlusconi e Gheddafi come risarcimento «dei danni inflitti dall’Italia alla Libia durante il periodo coloniale ». In questi anni gradualmente e con i dovuti accorgimenti per la sicurezza quasi tutte le aziende italiane hanno ripreso a operare nel Paese. Si cominciano però a contare i danni della crisi attualmente in corso. «Nell’immediato, per le imprese italiane, e per la nostra economia, possiamo contare oltre un miliardo di euro di danni per quanto sta avvenendo in Libia. Ma è solo l’inizio», ha detto ieri Alfredo Cestari, presidente della Camera di commercio ItalAfrica Centrale. «I nostri connazionali hanno dovuto lasciare in fretta e furia il Paese – ha spiegato – e con esso conti correnti, merci, attrezzature, contratti già pagati. E con la chiusura dell’ambasciata gli interessi economici sono fortemente a rischio». Secondo Cestari la presenza italiana nel tessuto economico libico equivale attualmente a 100-120 imprese direttamente presenti nel Paese, «ma il numero di quante hanno rapporti commerciali con la Libia è molto più alto ». A Tripoli l’Italia vende principalmente prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (56% dell’export totale) e in misura molto minore (con un peso inferiore al 5% del totale) anche macchine di impiego generale o per impieghi speciali, apparecchiature di cablaggio, auto e motori. I maggiori interessi riguardano comunque il settore dell’approvvigionamento energetico. Le attività di Eni in Libia sono concentrate prevalentemente nell’area occidentale nei giacimenti off shore Bahr Essalam, che attraverso la piattaforma di Sabratha fornisce gas al centro di trattamento di Mellitah che lo convoglia poi al gasdotto Greenstream per l’esportazione verso l’Italia, e Bouri (petrolio), e nei giacimenti on shore di Wafa (gas e petrolio) ed Elephant (petrolio). Nell’area orientale la presenza del colosso petrolifero italiano è limitata al campo di Abu Attifel (petrolio). Attualmente tutti  i campi sono in funzione a eccezione di Abu Attifel, chiuso da un anno e mezzo. Eni «continua a monitorare con estrema attenzione l’evolversi della situazione», ha fatto sapere il Gruppo in un comunicato. «La presenza di espatriati Eni in Libia è ridotta e limitata ad alcuni siti operativi offshore, garantendo in collaborazione con le risorse locali lo svolgimento regolare delle attività produttive nell’ambito dei massimi standard di sicurezza». Va detto che per Eni la produzione è attualmente vicina al livello potenziale. Pur tuttavia, in generale, l’output libico è passato dagli 1,6 milioni di barili giornalieri precedenti al 2011, data dell’attacco alleato contro il regime di Gheddafi, agli attuali 350.000 barili. E questo nonostante la Libia possa vantare le maggiori riserve petrolifere nell’intero continente africano.