Attualità

Il caso. Chiesa calabrese in campo: per la 'ndrangheta non c'è spazio

Domenico Marino martedì 2 settembre 2014
«Ogni commistione della genuina pietà popolare col male, in tutte le sue forme, è una pura bestemmia da condannare, che nella Chiesa di Lamezia non troverà mai spazio ». Ha alzato un muro, trasparente ma solido, il vescovo Luigi Cantafora domenica durante la celebrazione della festa della Madonna della Quercia a Conflenti. Il presule lametino ha rilanciato il concetto di assoluta inconciliabilità tra Vangelo e ’ndrangheta, fede e malavita, su cui la Chiesa calabrese insiste da sempre, ma che negli ultimi tempi ha ribadito con forza ancora maggiore. Ancora di più dopo alcuni episodi equivoci registrati nel passato prossimo, anzitutto nel corso di processioni: presunti omaggi a boss e tentativi di infiltrazioni criminali, su cui sta indagando la magistratura inquirente.  Davanti a numerosi ragazzi coinvolti nei festeggiamenti in onore della Vergine, il vescovo di Lamezia ha sottolineato il valore della pietà popolare che «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere e rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede». Monsignor Cantafora ha aggiunto come la pietà popolare «è un prezioso tesoro della Chiesa cattolica, in essa appare l’anima del nostro popolo, per questo motivo essa appartiene alla Chiesa e a nessun altro». Nelle stesse ore poco lontano, a Mileto, nel Vibonese, nel corso dei festeggiamenti in onore di San Fortunato, il vescovo Luigi Renzo ha richiamato la condanna della ’ndrangheta, con la scomunica dei suoi adepti, lanciata dal Santo Padre durante la Santa Messa del 21 giugno nella Piana di Sibari. «Papa Francesco – ha affermato durante l’omelia – ci ha lanciato come una sfida: perché una terra così ricca di risorse umane, storiche e paesaggistiche deve morire nella morsa delle forze del male e della incapacità a reagire alle negatività? ». Il vescovo ha notato che il Signore, comunque, aspetta quanti hanno sbagliato, «pentiti e desiderosi di costruire per gli altri e con gli altri un mondo più bello e pacifico, non per distruggere la pace e la serenità propria ed altrui. A che serve – ha fatto notare il presule – rovinare se stessi, le proprie famiglie, la popolazione intera per quattro sporchi soldi che del resto alla luce dei fatti nemmeno riescono a godersi?». Monsignor Renzo ha anche espresso solidarietà ai lavoratori del cementificio di Vibo Marina e a quanti altri hanno perso il lavoro, così come non riesce a trovarlo. «Faccio un appello sentito alle forze politiche, a chi ha autorità, dal Governo alla Regione, a chiunque può – ha concluso – perché la smettano di fare chiacchiere e litigare, di pensare solo alle riforme che sono pure necessarie, ma che sblocchino le risorse per creare lavoro e favorire gli investimenti a partire dalle piccole imprese a finire a quelle più grandi. Non si esce dalla crisi affamando la gente e litigando sui principi. Il medico studia e il malato muore».  A Rossano, nel Cosentino, le forze dell’ordine hanno impedito che il corteo con la statua della Madonna del Mare deviasse dal percorso concordato con il parroco, penetrando in stradine secondarie che conducono a quartieri abitati anche da persone considerate vicine agli ambienti malavitosi locali.  A San Luca il vescovo di Locri-Gerace, Francesco Oliva, nei giorni scorsi ha ricordato don Giuseppe Giovinazzo, morto 25 anni fa, il primo giugno 1989, ucciso da una scarica di lupara sulla strada che conduce al santuario di Polsi in questi giorni meta di migliaia di fedeli per la tradizionale festa. Don Giovinazzo aveva 53 anni, era parroco della frazione Moschetta di Locri e aiutava in qualità di economo don Giosofatto Trimboli nella gestione del santuario. Nonostante sia trascorso un quarto di secolo, il delitto di don Giovinazzo è ancora senza soluzione. I suoi assassini sono a piede libero. Monsignor Oliva ha parlato di don Giuseppe come «un uomo di fede, membro del nostro presbiterio, che ha pagato con la vita l’essere sacerdote. È morto nell’esercizio delle sue funzioni, ed è entrato a far parte della lunga schiera di vittime che hanno insanguinato la nostra terra nel corso degli anni. Offriamo al Signore le nostre preghiere per tutte le vittime della mafia sapendo che l’odio crea odio e non risolve alcun problema».