Attualità

CENTRODESTRA IN CRISI. «Gruppi autonomi, ci sono i numeri»

Giovanni Grasso venerdì 30 luglio 2010
«Un segnale di tregua lo abbiamo mandato, ora la decisione non sta più nelle nostre mani: ma basta, nel documento del Pdl, una sola parola critica sull’operato politico e istituzionale di Fini e noi siamo pronti a fare i gruppi autonomi. Berlusconi ha promesso fuochi di artificio? Vedremo chi ne farà di più grandi». Un finiano della prima ora riassume così un caldo pomeriggio di attesa, aspettando di leggere il proclama che metterà al bando la minoranza legata al presidente della Camera. Un documento non votato dai finiani (Ronchi, Urso e Viespoli) presenti al "processo" di Palazzo Grazioli, i quali hanno chiesto, in extremis, 24 ore di tempo. Ma quella della pattuglia legata al presidente della Camera non è stata un’attesa inerte. Tutt’altro. In continuo contatto con il leader e tra di loro, con l’elmetto in testa e con il coltello fra i denti, i finiani si son dati un gran da fare. Per convincere i riottosi ad aderire ai nuovi gruppi di Camera e Senato (per i quali hanno già raggiunto il quorum necessario, rispettivamente di 20 deputati e 10 senatori), per allargare il gruppo ad altri parlamentari (si è guardato attentamente all’interno del gruppo misto e nell’Mpa di Lombardo, sostenuto in Sicilia dai finiani, ma Italo Bocchino avrebbe telefonato personalmente a molti parlamentari del Pdl) e, soprattutto, per disegnare gli scenari futuri. Alle durissime parole di Berlusconi, Fini ha deciso di non replicare, se non per ricordare che «il premier non può disporre della presidenza della Camera. Non può fare nulla. Io non mi dimetto». E questa mattina replicherà, con i fatti, dando il via all’immediata costituzione nei due rami del Parlamento dei gruppi autonomi. Sul tavolo di Fini ieri c’erano già le firme di 34 deputati. E ieri sera gli aderenti hanno fatto partire le lettere di addio al gruppo del Pdl.  Al Senato si conta di superare agilmente la quota di dieci, grazie anche alla convergenza del presidente dell’Antimafia Beppe Pisanu, da mesi in netta polemica con le scelte del Cavaliere. Un personaggio chiave, anche per il futuro, visto che da tempo si è ritagliato il ruolo di pontiere (e paciere) tra Casini e Fini.Gruppi autonomi, dunque, ma con quale posizione rispetto al governo? L’idea sarebbe quella di continuare ad appoggiare il governo, senza provocarne la crisi. Fini con i suoi ha ragionato così: «Il governo attuale è un governo di coalizione: Berlusconi sul programma fa trattative continue con la Lega. Adesso, la trattativa la dovrà fare pure con noi». Calano le azioni, invece, dell’ipotesi del ritiro della sparuta delegazione finiana al governo e conseguente l’appoggio esterno. Una mossa che avrebbe anche potuto comportare un rimpasto nell’esecutivo, creando un bel problema a Berlusconi. Ma a Montecitorio si ricorda che Andreotti sostituì in un pomeriggio i cinque ministri della sinistra dc, dimissionari contro la Legge Mammì, senza colpo ferire. Ma la guerra sarà condotta anche su altri fronti e senza esclusione di colpi. Contro l’espulsione, Fini è pronto a ricorrere alla magistratura ordinaria. Lo statuto del partito, fanno sapere a Montecitorio, è stato depositato da un notaio e non prevede la possibilità di mettere fuori uno dei due cofondatori. Fini sembra che abbia indicato ai suoi pronti alla battaglia un solo limite invalicabile: quello del rispetto della volontà del corpo elettorale. Che, in soldoni, significa niente ribaltoni, nessun passaggio di campo, nessuna alleanza con i partiti dell’opposizione. E, in definitiva, nessuna mossa per provocare la caduta di Berlusconi.