Attualità

LO SCONTRO POLITICO. Il Pd “tiene” ma insiste per un reimpasto

Roberta D’Angelo sabato 20 luglio 2013
​Il capogruppo Luigi Zanda lo anticipa con tono grave in aula, davanti al premier Enrico Letta, al ministro Alfano e a Silvio Berlusconi: il Pd è fedele al governo, ma la questione non finisce così. La «responsabilità politica» pesa. E l’invito al ministro è ad alleggerirsi di qualcuno dei suoi tre incarichi: segretario del Pdl, vicepremier e, appunto, titolare del Viminale. Tra i democratici il malumore è forte e la disciplina di partito nel voto contro la sfiducia al ministro dell’Interno viene garantita non senza difficoltà. E allora il segretario Guglielmo Epifani mette in chiaro in serata che a settembre si farà «il tagliando» al governo, per capire se i ministri in carica sono ancora sufficientemente «autorevoli». Ma il Pd, già in tensione per l’appuntamento congressuale, ha bisogno di risposte immediate. Tanto più che la sentenza del 30 luglio si avvicina. Così Epifani chiede al premier di partecipare alla Direzione prevista per la prossima settimana, ma non ancora fissata. Poi, la decisione finale di invitare il capo del governo alle assemblee dei gruppi di senatori e deputati previste per mercoledì. Un modo per chiarirsi e rimettersi in marcia senza defezioni e senza spaccare il partito in vista del delicato congresso.L’intervento di Napolitano e la scelta del presidente del Consiglio di non spaccare la maggioranza sulla vicenda del Kazakhstan coinvolgono direttamente Letta nelle tensioni del suo Pd. Tanto più che lo sparuto gruppo di dissenzienti che ieri non ha partecipato al voto, di fatto, potrebbe crescere. Perché le motivazioni di Puppato, ma anche di Civati, non sono così isolate. Tanto da spingere il senatore Esposito a chiedere l’espulsione di chi non si allinea.Quello di espulsione «mi sembra un termine che appartiene a un’altra epoca – taglia corto Epifani –. Però ci sono norme che si debbono rispettare», ragiona il segretario. E tuttavia Epifani è consapevole del malumore più che strisciante. Perciò avverte lo stesso Letta che «a settembre si capirà se il governo potrà andare avanti, come penso e spero per l’interesse del Paese», ma in tal caso «si pongono due problemi. Il primo, dovrà ridefinire il suo programma alla luce dell’aggravamento della situazione sociale ed economica». Quindi, «si dovrà fare un tagliando alla qualità, all’autorevolezza e alla forza politica del governo» e di «tutti i ministeri, compreso il ministero dell’Interno».Ma alla corposa squadra parlamentare democratica non basta. Il chiarimento deve avvenire subito, anche perché le diverse correnti si stanno logorando e soprattutto i renziani vengono avvertiti come un pericolo costante dalle altre aree, sebbene al momento del voto ieri si siano allineati senza levate di testa. Così l’idea di far partecipare il premier all’incontro dei deputati (e probabilmente anche dei senatori) il 24, in cui i gruppi di Camera e Senato sono stati convocati per studiare il calendario che attende il Parlamento.Bisogna spegnere i focolai, prima che la casa vada a fuoco. Spiega bene il ministro renziano Graziano Delrio al Foglio: «Di fronte a quello che ci aspetta nei prossimi mesi, per evitare che gli sguardi tra Enrico e Matteo diventino, per così dire, incandescenti, tutti devono capire la verità seguente: che Renzi e Letta, al di là della retorica, possono lavorare insieme, fare squadra. Se non si parte da qui, la faglia che vedo aprirsi nel Pd rischia di farci ballare più del dovuto. E francamente, come si dice, il gioco non vale la candela».