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L'allarme del Censis. Pandemia e guerra hanno reso l'Italia triste e malinconica

Paolo Ferrario venerdì 2 dicembre 2022

È un'Italia triste e malinconica, quella che si affaccia al 2023, terzo anno di pandemia e secondo di guerra, stando il consueto Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese. A queste due crisi sovrapposte se ne aggiungono altrettante (l'alta inflazione che drena quote importanti di salari e pensioni e la morsa energetica) ad aggravare un quadro in cui il pessimismo la fa da padrone.

Paura della guerra mondiale

È soprattutto la paura di una nuova guerra mondiale a popolare gli incubi degli italiani. Nel Rapporto si legge, infatti, che il 61% dei nostri concittadini teme che possa scoppiare il terzo conflitto mondiale, il 59% ha paura che si faccia ricorso alla bomba atomica e il 58% che l'Italia entri in guerra. «Nell'immaginario collettivo si è sedimentata la convizione che tutto può accadere, anche l'indicibile», specificano i ricercatori sociali del Censis. «È l'assottigliamento del diaframma tra la grande storia e le microstorie delle vite individuali - prosegue il Censis - a generare nei nostri tempi la percezione di rischi che fanno sentire impotenti, al di là di ogni iniziativa di prevenzione alla propria portata, ricorrendo, per esempio, alle coperture assicurative».

Forte senso di insicurezza

Così, il 66,5% degli italiani si sente insicuro, ben 10 punti percentuali in più rispetto al 2019 pre-Covid. Al vertice delle insicurezze personali, ricorda il Rapporto, per il 53% c’è il rischio di non autosufficienza e invalidità, il 51,7% teme di rimanere vittima di reati, il 47,7% non è sicuro di poter contare su redditi sufficienti in vecchiaia, il 47,6% ha paura di perdere il lavoro e quindi di andare incontro a difficoltà economiche, il 43,3% teme di incorrere in incidenti o infortuni sul lavoro, il 42,1% di dover pagare di tasca propria prestazioni sanitarie impreviste. «Eppure - prosegue la nota del Censis - nell’ultimo decennio i reati denunciati in Italia si sono ridotti complessivamente del 25,4%. Oggi siamo il Paese statisticamente più sicuro di sempre. I crimini più efferati, gli omicidi volontari, sono diminuiti dai 528 del 2012 ai 304 del 2021 (-42,4%). E sono in forte contrazione i principali fenomeni di criminalità predatoria: in dieci anni le rapine sono diminuite da 42.631 a 22.093 (-48,2%), i furti nelle abitazioni da 237.355 a 124.715 (-47,5%), i furti di autoveicoli da 195.353 a 109.907 (-43,7%). Nell’ultimo decennio sono aumentate solo alcune fattispecie di reato: le violenze sessuali (4.689 nel 2012, 5.274 nel 2021: +12,5%), le estorsioni (+55,2%), le truffe informatiche (+152,3%)». Non ci sarebbe motivo, insomma, per preoccuparsi eccessivamente. E, invece, più che un paradosso questa è la cruda realtà che vive, oggi, il nostro Paese.

L'Italia post-populista

La somma delle crisi globali che stanno investendo le vite dei cittadini con la paura sempre più forte di un futuro peggiore di quanto ci saremmo immaginati fino a non molti anni fa, porta gli italiani ad avanzare una serie di rivendicazioni all'insegna di una maggiore equità sociale che, secondo il Censis, non si possono più archiviare nella categoria del “populismo”, «come fossero aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico», nota il Rapporto. Semmai, l'Italia che si affaccia con timore al 2023 è un Paese post-populista. La quasi totalità degli italiani (il 92,7%) è convinta che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo, il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi), il 64,4% sta intaccando i risparmi per fronteggiare l’inflazione. «Cresce perciò la ripulsa verso privilegi oggi ritenuti odiosi, con effetti sideralmente divisivi: per l’87,8% sono insopportabili le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei dirigenti, per l’86,6% le buonuscite milionarie dei manager, per l’84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del web, per l’81,5% i facili guadagni degli influencer, per il 78,7% gli sprechi per le feste delle celebrities, per il 73,5% l’uso dei jet privati».

Una «ritrazione silenziosa»

Un malessere che, però, non sta sfociando in «fiammate conflittuali», come scioperi, manifestazioni di piazza o cortei. «Si manifesta invece una ritrazione silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica», sottolinea il Censis. Un atteggiamento che si è riversato direttamente nelle urne delle elezioni Politiche dello scorso 25 settembre: il primo partito è stato quello dei non votanti, composto da astenuti, schede bianche e nulle, che ha segnato un record e una «profonda cicatrice» nella storia repubblicana. Quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto non ha partecipato alla consultazione. In 12 province i non votanti hanno superato il 50%. Tra le politiche del 2006 e quelle del 2022 i non votanti sono raddoppiati (+102,6%), tra il 2018 e il 2022 sono aumentati del 31,2% (quasi 4,3 milioni in più). Un segnale di sfiducia che la politica deve saper cogliere e a cui è necessario dare risposta.