Attualità

Crisi. Conte al Quirinale per comunicare a Mattarella le dimissioni

Eugenio Fatigante lunedì 25 gennaio 2021

Sono state ore cruciali, quelle odierne, per Giuseppe Conte, che dopo aver a lungo cullato l'idea di tentare il tutto di nuovo nell’ostica aula del Senato, cercando di sopravvivere con un gesto estremo, si è rassegnato a gestire la crisi passando per le dimissioni. La decisione è arrivata dopo le 19: per domani mattina alle 9 Conte ha convocato il Consiglio dei ministri, nel corso del quale "comunicherà ai ministri la volontà di recarsi al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni". Subito dopo Conte salirà al Colle a comunicare la sua decisione a Sergio Mattarella.

Le trattative tra i partiti

Nelle ultime ore Pd e M5s hanno rafforzato il pressing per una soluzione pilotata delle fibrillazioni di maggioranza, unica alternativa concreta al voto, e hanno pure rafforzato - specie da parte dem - nuovi segnali all'indirizzo di Matteo Renzi, il leader di Italia Viva che ha innescato la crisi. Se n'è fatto interprete stamattina Goffredo Bettini: «Ora Renzi dimostri effettivamente di avere il senso non dell’errore ma un po’ del salto nel buio che lui ha procurato - ha scandito in tv a La7 lo stratega del Pd zingarettiano - e incominci in Parlamento a dare qualche segnale. Se si mette nell’ottica di una responsabilità nazionale senza ricatti e senza prepotenze, si può guardare a una fase nuova».

Mercoledì è previsto il voto di Camera e Senato sulla relazione del ministro Alfonso Bonafede sull’amministrazione della giustizia. Il tentativo di convincere la conferenza dei capigruppo convocata per domani a far slittare a giovedì il passaggio del Guardasigilli a Palazzo Madama è considerato assai difficile. E i numeri sono ancora insufficienti per l’esecutivo in Senato, stante - rispetto ai 156 voti della fiducia di una settimana fa - l'assenza di Liliana Segre, i probabili no di Lonardo Mastella, Casini, Nencini e degli ex forzisti Rossi e Causin e le difficoltà a reperire nuovi sostegni.

Il senso di una svolta in atto l'hanno dato ieri, domenica, le parole di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri: «Abbiamo 48 ore. O c’è una maggioranza o si va al voto», ha detto Luigi Di Maio, anche se il suo staff oggi sottolinea che c’è ancora pieno sostegno a Conte. Tuttavia, rispetto alla linea più intransigente (sul restare comunque in sella) dei giorni scorsi, nelle ultime ore il premier si starebbe "ammorbidendo" e avrebbe cominciato a valutare, in assenza di novità sui numeri certi, la possibilità di un passaggio al Quirinale entro domani per dare le dimissioni al capo dello Stato, Sergio Mattarella. Con l'obiettivo di dar vita quindi, dopo un appello a tutti i partiti, a un governo "di responsabilità nazionale" da lui stesso presieduto che dovrebbe ricomprendere i renziani di Iv (archiviati rapidamente i "mai più insieme" dei giorni scorsi); e anche, data per scontata la contrarierà di Lega e Fratelli d'Italia, anche i centristi, in attesa di segnali da "pezzi" di Forza Italia, il cui leader Silvio Berlusconi sabato aveva indicato come meta proprio un governo di unità nazionale come unica alternativa alle elezioni.

Il Pd «si sta adoperando per garantire sulla base di un programma di legislatura un governo autorevole con una base parlamentare ampia e stabile», fanno sapere dal Nazareno. E l’ipotesi di un "patto tra gentiluomini" che garantisca al capo del governo di ottenere un reincarico dopo essersi dimesso ed essere passato attraverso l’apertura formale della crisi, sembra ormai l’orizzonte su cui si starebbero assestando le forze di maggioranza, anche se Leu avanza con Loredana De Petris i suoi dubbi su questa soluzione. E' un percorso che viene invece suggerito anche da Iv, che con Ivan Scalfarotto assicura:«Nessun veto su Conte, non si mettano veti su di noi».

Il premier, che stamattina ha ricevuto intanto i vertici di Confindustria sul Piano di rilancio coi fondi Ue, dopo aver valutato a lungo i pro e i contro, è ormai prossimo a una decisione. Sa che se cadesse in aula la sua permanenza a Palazzo Chigi non avrebbe alcun futuro, se si dimettesse dovrebbe attendere le consultazioni (che sono pur sempre un’incognita) ma potrebbe sperare in un terzo mandato. Le sue perplessità, conoscendo la politica, sono legate appunto al rispetto di quel patto: «E se vado al Colle da Papa e ne esco da cardinale?», avrebbe confidato ai collaboratori, sostiene un retroscena del Corriere della sera. Le telefonate si infittiscono in queste ore, ualcuno non esclude nemmeno un vertice dei leader con il premier. Il tempo sta per scadere ed entro mercoledì la situazione dovrebbe giungere a un chiarimento. Il tempo del resto è ormai poco, come ricorda anche il presidente del Parlamento Europeo, avid Sassoli (Pd): «Il Recovery fund non aspetta: o parte o non parte».