Attualità

Giovani. Gli oratori in uscita incontrano i «neet» e i «teen»

Umberto Folena, Molfetta (Bari) giovedì 5 settembre 2019

L'oratorio san Giorgio della parrocchia Stella Maris di Tortolì (Archivio)

Per chi è abituato a giocare e a far giocare, non dev’essere un problema un gioco di parole, anzi. E se vengono convocati al Seminario regionale pugliese di Molfetta al loro happening con il titolo: "Facciamo fuori l’Oratorio!", i 500 animatori di circa 60 tra diocesi e associazioni sorridono alla provocazione. A loro è tutto chiaro: viene evocata la "Chiesa in uscita" tanto cara a papa Francesco, il compito a cui invitò la Chiesa italiana al Convegno ecclesiale di Firenze quattro anni fa.

E se proprio chiaro non fosse, a fare chiarezza pensano don Michele Falabretti e don Riccardo Pascolini, rispettivamente direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile e segretario del Foi (Forum oratori italiani), che organizzano l’Happening degli Oratori per la terza volta (in sigla: H3O): «"Fare fuori" nel senso di aprirsi verso ciò che ci aspetta al di là della porta dell’oratorio, che a volte corre il rischio di essere semplicemente un curato circolo ricreativo».

Il segreto, suggerisce Marco Moschini, sta in un continuo "dentro e fuori", andare e tornare per ripartire e ritornare, ogni volta più ricchi. Moschini, professore di filosofia teoretica, a Perugia dirige il Corso di perfezionamento in progettazione, gestione e coordinamento dell’oratorio.

A H3O non sono previste conferenze frontali, ma un momento di confronto tra alcuni esperti (ieri pomeriggio) e dei laboratori (oggi). Moschini provoca e viene provocato. «Per andare fuori – spiega – bisogna saper stare dentro. E uscire, in senso antropologico ed educativo, significa vicinanza, esperienza dell’altro, in una continua dinamica educativa». L’oratorio, così, diventa «campo di rigenerazione dell’umano, cura delle solitudini».

Bastano pochi attimi per scoprire che moltissimo dipende dagli animatori. Angela Melandri, coordinatrice del Progetto oratori della diocesi di Parma, racconta come nella parrocchia del Corpus Domini siano stati coinvolti i neet, i giovani che non studiano né lavorano. Certo non i classici "bravi ragazzi"… Il percorso "Work in progress" li ha coinvolti in piccoli lavori, e ha funzionato per le quattro caratteristiche degli animatori: «Sanno ascoltare la realtà per ciò che è, e dietro le provocazioni hanno visto le competenze; hanno dato fiducia; hanno saputo accompagnare i giovani stando al loro fianco; e hanno lavorato in rete», non da cavalieri solitari – tipico profilo parrocchiale negativo di chi dice «devo fare tutto io perché non c’è nessun altro» – ma in rete, con le scuole, gli assistenti sociali, la comunità degli adulti.

Non poteva mancare lo sport. Don Alessio Albertini, assistente nazionale del Csi, osserva: «L’oratorio non può che tornare ad essere come il cortile di don Bosco», aperto al mondo, pena ridursi alla catechesi, senza una formazione umana integrale. Lo sport: «La squadra, la relazione con gli altri, legami solidi e duraturi, il senso di appartenenza, il senso di responsabilità». I giovani stipati nella parrocchia Regina Pacis, voluta da don Tonino Bello («Una parrocchia di pietra ma soprattutto di carne») applaudono convinti.