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L'ex ministro. Chiti: tra i pacifisti nessuna ambiguità

Riccardo Michelucci, Firenze venerdì 28 ottobre 2022

L'ex ministro Vannino Chiti

«La nonviolenza non è rassegnazione, il pacifismo politico non è equidistanza. Chiedere un cessate il fuoco e un negoziato internazionale non vuol dire non saper distinguere l’aggressore dall’aggredito. Significa costruire le condizioni per una pace giusta evitando un’escalation che potrebbe portare all’uso delle armi atomiche, oltre a causare ulteriori vittime e sofferenze all’Ucraina». Non ha alcun dubbio a riguardo l’ex ministro Vannino Chiti, che fin da subito ha aderito convintamente alla manifestazione nazionale “Europe for Peace” del 5 novembre. « Non potrò esserci perché sono all’estero - ci dice – ma ne condivido appieno la piattaforma, poiché conferma che nel movimento per la pace non c’è alcuna ambiguità». Ex presidente della Regione Toscana, Chiti è stato sottosegretario e ministro nei governi Amato e Prodi, infine senatore del Partito democratico fino al 2018. Nei mesi scorsi ha promosso un appello che chiedeva di rivedere l’aumento delle spese militari, definendolo «eticamente inaccettabile e politicamente sbagliato».

Perché le ragioni di un cessate il fuoco e di una trattativa di pace non trovano grande rappresentanza tra i partiti?

Purtroppo noto con grande amarezza che tutte le forze politiche sono assai scollegate dalla realtà e dal sentimento del Paese. Alimentare l’escalation rischiando la distruzione dell’umanità non è certo il modo migliore per difendere l’aggredito. Un cessate il fuoco non cementerebbe lo status quo ma sarebbe funzionale all’apertura di una trattativa di pace che garantirebbe le ragioni dell’Ucraina. Resto dell’idea che Kiev debba entrare nell’Unione Europea mantenendosi neutrale. Poi andrà trovata una soluzione per il Donbass, che non vuol dire sacrificare la sovranità dell’Ucraina ma garantire la tutela delle minoranze.

Molti esponenti del Pd hanno preso parte alle manifestazioni dello scorso fine settimana e saranno in piazza anche il 5 novembre. È segno che il suo partito comincia a muoversi nella direzione da lei auspicata?

Qualche passo avanti c’è, ma la meta è ancora lontana. Avrei voluto che il Pd si fosse reso protagonista con coraggio della ricerca di soluzioni di pace. Significherebbe dire essere amici dell’umanità, non di Putin. Vorrei che cambiasse posizione sull’incremento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil mentre manca una democrazia europea con una propria difesa comune. E vorrei che spingesse l’Italia ad aderire al trattato varato dalle Nazioni Unite nel 2017 per la messa al bando delle armi nucleari.

Perché alcuni considerano l’impegno per il dialogo quasi un sinonimo di resa?

C’è chi ha una visione essenzialmente militare delle relazioni umane, come se questa rappresentasse l’unico realismo possibile. Gravi colpe sono imputabili ai tanti organi di informazione che fin dall’inizio hanno attaccato duramente il movimento per la pace e la nonviolenza. Per fortuna papa Francesco e la Chiesa si sforzano di mantenerne la dignità. E danno una speranza al mondo, visto che molti ritengono ormai legittimo anche l’uso di armi nucleari tattiche. Come se moltiplicare Hiroshima fosse una buona idea.

Nei giorni scorsi decine di migliaia di persone sono già scese in piazza per la pace in tutta Italia.

Gli italiani sanno che la strada giusta da percorrere è quella della costruzione della pace. Credo che adesso sia necessario mettere in relazione il tema della pace con la sensibilità di molti giovani nei confronti dei temi dell’ecologia e della “Laudato Sì”. Bisogna far comprendere a tutti il legame diretto tra l’aumento delle spese militari e il taglio di quelle previste per la sanità, la scuola e il diritto al lavoro.

Un grande partito di centrosinistra non dovrebbe fare proprio questo? Perché il Pd non ci riesce?

Finora il Pd ha avuto un atteggiamento acritico, ad esempio, nei confronti della Nato, dando per scontato che il suo ampliamento fosse l’unica strada per tutelare e difendere l’aggredito. Un atteggiamento forse comprensibile per un governo che deve farsi carico dei rapporti con gli altri stati ma del tutto ingiustificabile per un partito che, come dice la Costituzione, dovrebbe essere una cerniera tra i cittadini e le istituzioni. Purtroppo ad oggi il Partito democratico è solo una confederazione di correnti che non formula proposte politiche, ma si preoccupa solo delle candidature e degli equilibri interni. Manca un rapporto serio e continuativo con l’elettorato e una discussione all’interno dei circoli sui grandi temi politici.

A suo avviso quale sarebbe la corretta posizione da assumere nei confronti della Nato?

Avrei ritenuto ragionevole una moratoria, non nuove adesioni decise in tutta fretta. Costruendo una Nato che va dalla Svezia al Canada, dall’Australia al Giappone fino alla Corea del Sud non si fa altro che dividere il mondo in due parti. Solo che dall’altra parte ci sono popoli più numerosi e più giovani, oltre che una ricchezza di materie prime. Una volta ristabilita la pace in Ucraina dovremo riconsiderare le relazioni in Europa e aggiornare quello che fu un grande trattato sulla sicurezza. Servirebbe una nuova conferenza di Helsinki, sulla falsariga di quella del 1975. Un tempo a porsi le grandi questioni dell’umanità c’erano grandi leader come Brandt, Berlinguer e Olof Palme. Oggi c’è soltanto il Papa a preoccuparsi di un rapporto equilibrato tra lo sviluppo e la dignità delle persone, tra il nord e il sud del mondo.