Attualità

Libia. Così Tripoli ostacola gli ispettori Onu. Crimini di guerra e abusi, nuove prove

Nello Scavo martedì 5 ottobre 2021
Stupri da praticare ed esibire. Torture da infliggere al buio e sevizie da mostrare alla platea di prigionieri, perché le ferite aperte dei malcapitati siano da esempio per tutti e continuino ad alimentare il business degli abusi «sotto il controllo assoluto delle autorità». Lo scrive la missione d’inchiesta indipendente dell’Onu in Libia.

Sono state trovate altre prove di crimini di guerra e crimini contro i diritti umani, specie nei confronti di migranti e detenuti: «Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che in Libia siano stati commessi crimini di guerra, mentre la violenza perpetrata nelle carceri e contro i migranti potrebbe equivalere a crimini contro l’umanità».

Tutte le parti in conflitto, compresi Stati terzi, combattenti stranieri e mercenari, «hanno violato il diritto internazionale umanitario, in particolare i principi di proporzionalità e distinzione, e alcune hanno anche commesso crimini di guerra» ha affermato Mohamed Auajjar, che guida la missione, il cui rapporto mette in evidenza crimini come omicidio, tortura, riduzione in schiavitù, esecuzioni extragiudiziali e stupri e stupri di gruppo.

Sembra il romanzo nero di un mafia-state in grado di ricattare colossi come l’Europa agitando lo spauracchio dei flussi migratori per ottenere in cambio ogni genere di concessione, a cominciare dall’assoluta impunità nelle violazioni dei diritti fondamentali.

"Le indagini - si legge nel report - hanno stabilito che il viaggio di un migrante verso l'Europa inizia normalmente con il pagamento di denaro a un trafficante e il successivo imbarco su una barcone. Le guardia costiera libica (Lcg) procederebbe poi con un'intercettazione violenta o sconsiderata, che a volte provoca dei morti”. Ma è solo una parte in commedia. “Ci sono segnalazioni che le Lcg confisca gli effetti personali dei migranti. Una volta sbarcati, i migranti vengono trasferiti in centri di detenzione o scompaiono, con segnalazioni di persone vendute ai trafficanti”. Desaparecidos per mano delle autorità. “Le interviste con i migranti precedentemente detenuti nei centri di detenzione del Dcim (il dipartimento contro immigrazione illegale di Tripoli, ndr) hanno stabilito che tutti i migranti - uomini e donne, ragazzi e ragazze - sono tenuti in condizioni difficili, alcuni dei quali muoiono. Alcuni bambini sono tenuti con gli adulti, il che li espone a un alto rischio di abusi”. In generale “la tortura (come le scosse elettriche) e la violenza sessuale (tra cui lo stupro e la prostituzione forzata) sono prevalenti”. Nonostante le centinaia di milioni di euro piovuti sulle autorità libiche, Italia ed Europa non hanno mai chiesto ufficialmente di modificare la legislazione libica: “Sebbene la detenzione dei migranti sia prevista dalla legge nazionale libica - denuncia la missione degli ispettori Onu -, i migranti sono detenuti per periodi indefiniti senza la possibilità di far riesaminare la legalità della loro detenzione, e l'unico mezzo praticabile di fuga è il pagamento di grandi somme di denaro alle guardie o l'impegno in lavori forzati o favori sessuali all'interno o all'esterno del centro di detenzione a beneficio di privati”. Diverse vittime hanno descritto con precisione “lo stesso ciclo di violenza, in alcuni casi subito fino a 10 volte: pagare le guardie per assicurarsi il rilascio, il tentativo di attraversamento in mare, l’intercettazione da parte dei guardacoste, il successivo ritorno alla detenzione in condizioni dure e violente, il tutto sotto il controllo assoluto delle autorità".

Una vera fabbrica di abusi nota ai governi e che non ha impedito neanche quest’anno di interrompere, ad esempio, il finanziamento italiano a quella guardia costiera che l’Onu accusa di essere parte del sistema di crimini contro i diritti umani. Una vera fabbrica di abusi nota ai governi e che non ha impedito neanche quest’anno di interrompere, ad esempio, il finanziamento italiano a quella guardia costiera che l’Onu accusa di essere parte del sistema di crimini contro i diritti umani.

La missione è stata istituita dopo che il Consiglio Onu per i diritti umani ha adottato una risoluzione nel giugno 2020 che chiedeva l’istituzione di un organismo di inchiesta da inviare in Libia. Gli esperti hanno raccolto ed esaminato centinaia di documenti, intervistato oltre 150 persone e svolto indagini in Libia, Tunisia e Italia.

L’organismo delle Nazioni Unite ha affermato di aver stilato un elenco confidenziale di sospetti, i cui dettagli non saranno rivelati fino a quando non saranno stati condivisi con appropriati meccanismi di responsabilità.

Investigare non è stato facile. «Sono stati riscontrati notevoli ritardi nell’ottenere i visti necessari, che hanno interferito con la pianificazione e ritardato l’arrivo della missione» si legge nel report. «Durante un incontro tenutosi a Tripoli nell’agosto 2021, il ministro degli Affari esteri ha assicurato alla missione che il rilascio dei visti sarebbe stato facilitato in futuro». Non subito. Tanto che «le speciali procedure di autorizzazione applicabili alle organizzazioni internazionali che lavorano in Libia hanno ostacolato le interazioni della missione con le autorità e hanno anche interferito con le visite in loco della missione». Non bastasse alcune richieste di ispezione «in particolare presso prigioni e centri di detenzione per migranti, sono rimaste senza risposta».

La missione ha circoscritto la portata delle indagini alle violazioni e agli abusi più gravi. «Migranti, richiedenti asilo, rifugiati e prigionieri, sono particolarmente a rischio di violenza sessuale. Al di là dell’ambiente di detenzione, ci sono indicazioni credibili che la violenza sessuale è anche usata da agenti statali o membri delle milizie come strumento di sottomissione o umiliazione», specie per mettere a tacere coloro che potrebbero ribellarsi. Libici compresi. Gli esperti hanno esaminato «diversi rapporti secondo cui attivisti per i diritti sono stati rapiti e successivamente sottoposti a violenza sessuale per dissuaderli dal partecipare alla vita pubblica».

Per rallentare il lavoro della commissione indipendente, le autorità hanno adoperato tutte le possibili pratiche burocratiche. Obiettivo: «ostacolare le interazioni della missione», con gli esponenti del governo di Tripoli che «hanno anche interferito con le visite in loco della missione».

Nonostante questo «le prove raccolte hanno indicato che la violenza sessuale assume diverse forme». Gli investigatori non hanno avuto a che fare solo con la depravazione dei carcerieri, ma hanno ottenuto la conferma che l’istituzionalizzazione della tortura ha lo scopo di umiliare, assoggettare e anche mostrare a tutti i prigionieri cosa potrebbe accadergli se protesteranno: «Oltre allo stupro – si legge ancora –, le donne o gli uomini possono essere costretti a spogliarsi nudi, a compiere atti sessuali con altri o ad essere testimoni di uno stupro da parte di altri».

Gli incaricati del Consiglio Onu per i Diritti Umani hanno inoltre segnalato i «crimini atroci commessi nella città di Tarhuna (a sud-est di Tripoli) tra il 2016 e il 2020». Proprio ieri, riferisce l’agenzia Nova, altri dieci corpi non identificati sono stati riesumati dalla zona agricola nota come “Chilometro 5” nella stessa municipalità di Tarhuna. Lo scorso 28 luglio, 12 corpi erano stati estratti dopo la scoperta di altre due fosse nella stessa area. Le squadre di ricerca dell’Autorità hanno cominciato i lavori nella zona “Chilometro 5” lo scorso mese di aprile, recuperando fino ad oggi almeno 50 cadaveri.

Notizie confermate anche dalle immagini satellitari contenute nel report degli esperti Onu i quali, pur tra ostacoli e qualche tentativo di depistaggio, sono riusciti a trovare conferma alle testimonianze raccolte faticosamente sul campo.

La missione è stata istituita dopo che il Consiglio Onu per i diritti umani ha adottato una risoluzione nel giugno 2020 che chiedeva l’istituzione di un organismo di inchiesta da inviare in Libia. Gli esperti hanno raccolto ed esaminato centinaia di documenti, intervistato oltre 150 persone e svolto indagini in Libia, Tunisia e Italia.

L’organismo delle Nazioni Unite ha affermato di aver stilato un elenco confidenziale di sospetti, i cui dettagli non saranno rivelati fino a quando non saranno stati condivisi con appropriati meccanismi di responsabilità.


Per rallentare il lavoro della commissione indipendente, le autorità hanno adoperato tutte le possibili pratiche burocratiche. Obiettivo: «ostacolare le interazioni della missione», con gli esponenti del governo di Tripoli che «hanno anche interferito con le visite in loco della missione».

Nonostante questo «le prove raccolte hanno indicato che la violenza sessuale assume diverse forme». Gli investigatori non hanno avuto a che fare solo con la depravazione dei carcerieri, ma hanno ottenuto la conferma che l’istituzionalizzazione della tortura ha lo scopo di umiliare, assoggettare e anche mostrare a tutti i prigionieri cosa potrebbe accadergli se protesteranno: «Oltre allo stupro – si legge ancora –, le donne o gli uomini possono essere costretti a spogliarsi nudi, a compiere atti sessuali con altri o ad essere testimoni di uno stupro da parte di altri».

Gli incaricati del Consiglio Onu per i Diritti Umani hanno inoltre segnalato i «crimini atroci commessi nella città di Tarhuna (a sud-est di Tripoli) tra il 2016 e il 2020». Proprio ieri, riferisce l’agenzia Nova, altri dieci corpi non identificati sono stati riesumati dalla zona agricola nota come “Chilometro 5” nella stessa municipalità di Tarhuna. Lo scorso 28 luglio, 12 corpi erano stati estratti dopo la scoperta di altre due fosse nella stessa area. Le squadre di ricerca dell’Autorità hanno cominciato i lavori nella zona “Chilometro 5” lo scorso mese di aprile, recuperando fino ad oggi almeno 50 cadaveri.

Notizie confermate anche dalle immagini satellitari contenute nel report degli esperti Onu i quali, pur tra ostacoli e qualche tentativo di depistaggio, sono riusciti a trovare conferma alle testimonianze raccolte faticosamente sul campo.