Attualità

Intervista. Olivero: «Giovani, dite sì alla pace»

Paolo Lambruschi mercoledì 1 ottobre 2014
Ernesto Olivero, presidente del Sermig, dagli inizi degli anni 90 organizzati gli incontri mondiali della pace con i giovani. Che significato hanno? Gli appuntamenti dei Giovani della Pace non sono nati a caso. L’idea è nata dal confronto con uomini e donne di Dio e di buona volontà che hanno incrociato la nostra strada. Penso ad amici come dom Helder Camara, Madre Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II, Norberto Bobbio. Ogni volta il loro consiglio era inventare qualcosa per riportare a casa i giovani, i più poveri tra i poveri, aiutarli a riscoprire il senso della vita, il valore delle scelte. Giovani così possono cambiare il mondo perché in loro sono seminati santità, intraprendenza, coraggio. Nella mia vita ne ho incontrati di una bellezza infinita, giganti di purezza, disponibilità, mitezza, giovani indomabili che hanno dato la vita per Dio, per un ideale, per un mondo diverso. Al tempo stesso ho incontrato giovani pieni di niente, capaci di distruggere il bello e il buono che hanno dentro, persi in dipendenze infami e scelte sbagliate. Ecco, a Napoli vorremmo ricordare che nessuno è perso, che tutti possiamo cambiare, ma solo se avremo il coraggio di risvegliare la coscienza. E pregheremo per la famiglia in sintonia con la Cei, che si troverà nelle stesse ore in piazza San Pietro con il Papa. Chi sono i Giovani della Pace di oggi? Chi ha scelto di ascoltare la coscienza per dire i sì e i no che possono rendere migliore la vita propria e degli altri. Magari con fatica, senza capire ancora tutto, però ci provano. Cercano di vivere con occhi e orecchie aperte, vogliono impegnarsi, credono che il mondo si cambia partendo da scelte personali e responsabilità concrete. In piazza del Plebiscito ascolteremo testimonianze forti dal Medio Oriente, dall’Africa, dall’America Latina, dall’Italia. Tutte raccontano scelte di cambiamento, impegno, speranza. Cosa pensi della persecuzione dei cristiani in Medio Oriente? Di fronte a certe notizie piango. È folle quel che accade, ancor più grave perché avviene nell’indifferenza. Ci sono responsabilità politiche precise di un mondo alla rovescia che ha permesso tutto ciò, che continua ad alimentare il mercato delle armi, il terrorismo, il nonsenso. Un mondo impantanato, privo di istituzioni internazionali capaci di prevenire le tragedie. Il grido di questi fratelli oggi chiede di essere ascoltato e fatto nostro. Dovrebbe entrarci nella mente, nel cuore, nelle ossa. Secondo il nunzio Zenari la risposta occidentale non può limitarsi ai bombardamenti contro i terroristi dello stato islamico. Condividi? Sì. Intendiamoci, di fronte ad aggressioni di questo tipo ha senso porsi il problema di come fermare l’aggressore. È inaccettabile la sofferenza di questa povera gente. In Giordania ho ascoltato storie terribili di persone scappate in pigiama, senza scarpe, di anziani abbandonati nei villaggi perché non potevano camminare. La reazione internazionale non basta. Passerò per utopista, ma nel medio e lungo periodo dovremmo tutti entrare nella conversione. Finché costruiremo armi non andremo da nessuna parte. Fino a quando non investiremo seriamente in scuola ed educazione, non asciugheremo il brodo di coltura dell’estre-mismo. Certo è importante impegnarci nel dialogo che, però, non può essere fatto a parole. Con gli anni ho capito che alla pace, a un minimo di convivenza si arriva partendo da un quadro di regole comuni, a partire dallo stato di diritto. Noi che diciamo di credere in Dio abbiamo una grande opportunità: correggere errori, scomuniche, odi e intolleranze, perdonare le violenze, rifiutare le guerre sante. Ma il nostro cuore è pronto alla conversione? Il precariato sembra essere inevitabile per quella che viene definita 'generazione perduta'. O no? Ricordo un incontro che mi ha cambiato la vita. Ero appena ventenne e a Torino ascoltai un uomo vestito di bianco. Era frère Roger, fondatore della comunità di Taizé. A un certo punto se ne uscì con una frase che non mi ha più abbandonato: 'Ricordatevi che basta un pugno di giovani per cambiare il corso della storia, di una città, del mondo'. Lo presi alla lettera. Il Sermig è nato anche da queste parole. Io e i miei amici eravamo inesperti, senza mezzi, vivevamo l’incertezza del nostro tempo. Eppure siamo andati dietro ai nostri ideali, al sogno di sconfiggere la fame nel mondo. Ai giovani dico di fare lo stesso: dite sì alla parte migliore di voi, apritevi agli altri, alle povertà che vi interpellano. Mettete in gioco i vostri talenti, la creatività, la fantasia. È un’epoca difficile, affrontatela. Detto questo, il mondo degli adulti chieda scusa ai giovani e li metta in condizione di agire oppure non c’è futuro.