Attualità

Italicum. Il premier: «Non rischio, ho 50 voti di margine»

Marco Iasevoli giovedì 16 aprile 2015
Dopo la stizza, in Matteo Renzi sale un senso di profonda incredulità: «Io non ci posso credere che questi sono disposti a riportare l’Italia nella palude. Non riesco a credere che vogliono far deragliare un treno che ora inizia a correre. Non hanno fatto cadere il governo sul Jobs act, vogliono farlo cadere su una riforma che loro stessi hanno cambiato a fondo? Ma hanno idea di cosa significhi far ripiombare il Paese nell’instabilità oggi? Hanno idea del segnale che stanno dando a un mese dalle regionali?».  Dopo la riunione del gruppo Pd alla Camera, il premier è tornato a Palazzo Chigi per mettere a posto le ultime carte in vista del vertice con Obama negli States. Ma la testa è lì, alla minoranza che ha trasformato l’Italicum in una «bandiera». «Io non volevo il braccio di ferro, potevano intestarsi le preferenze, il doppio turno, gli sbarramenti. E per Roberto mi dispiace sinceramente. Il punto è che non si sono mai accontentati, l’obiettivo era solo quello di indebolirmi. Ma io sono pronto alla sfida in Aula. La discussione sulle riforme è finita, il governo deve tornare a parlare di economia, crescita e lavoro, non di collegi e preferenze». Se la minoranza porta la sua contabilità con numeri da spavento, Renzi ne porta un’altra molto meno preoccupante. «Ho almeno 50 voti di margine», dice secco. Il Pd ha 310 deputati, la maggioranza nel complesso ne esprime 408. Da settimane poi alcuni esponenti 'verdiniani' di Forza Italia hanno lanciato segnali per soccorrere l’esecutivo in caso di emergenza. Idem da frange degli ex M5S. Per far paura, i dissidenti dem dovrebbero aggregare più o meno 100 persone. I fedelissimi del premier invece rassicurano: «Al massimo diranno 'no' 20, 30 di loro».  Certo resta il problema politico, il peso di una eventuale scissione a poche settimane dalle regionali. Renzi non la vuole. E anche ieri ha offerto un’ultima mediazione: «Posso rinunciare alla fiducia se rinunciate a fare giochetti con il voto segreto». Una mossa che mette ancora di più alle corde la minoranza interna. Gli emendamenti sono 35, su almeno 4-5 riguardanti le preferenze e gli apparentamenti al secondo turno i dissidenti potrebbero aggregarsi a M5S o Forza Italia, trasformando il percorso in Aula in un Vietnam. Se invece tutti faranno professione di fedeltà, attenendosi alle decisioni della direzione e del gruppo, la minaccia della fiducia potrebbe cadere. Ma non è detto, perché ormai il clima è di sospetto e astio reciproco. Non c’è fiducia nel gruppo Pd. E perciò l’ipotesi-fiducia resta. «Non sarebbe uno scandalo», mettono le mani avanti tutti i renziani. Certo sarebbe una forzatura pesante, perché la questione di fiducia sarebbe posta per ben quattro volte, su ciascuno degli articoli di legge. Dopo resterebbe il voto segreto finale. «Ma a quel punto nessuno proverebbe a far cadere il governo, nemmeno le opposizioni. Hanno tutti paura di andare in campagna elettorale», è sicuro Renzi. Intanto è ormai assodato che i membri di minoranza Pd della commissione Affari costituzionali faranno quasi tutti un passo indietro volontario. Ed è assodato anche che non esiste un piano B: se salta l’Italicum, Renzi andrà al voto con il Consultellum e userà le liste bloccate per realizzare un repulisti 'senza ostaggi'.