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La storia. «Nella violenza non siamo mai sole». Così Maria Antonietta è sopravvissuta

Alessia Guerrieri martedì 19 aprile 2022

Maria Antonietta con il premio Camomilla Award che le ha consentito concretamente di proseguire le cure

Un caffè ad un tavolino di bar. Occhiali grandi scuri per coprire parte del volto che ancora porta le cicatrici di quanto accaduto. Un sorriso e una determinazione rari nel raccontare di aver rischiato di morire, arsa viva da un marito manesco e possessivo. Un lungo flusso di coscienza che parte da quel 2017 quando, dopo l’ennesima volta che aveva alzato le mani su di lei, l’ex marito Ciro aveva cominciato a picchiare anche la loro figlia. La goccia che l’aveva convinta a dire basta e a metterlo fuori dalla porta. Poi, d’improvviso, una frase che le ha dato la forza di andare avanti in tutti questi anni: «Dio affligge, ma non abbandona. E io la Sua luce l’ho sentita sempre, anche quando i medici dicevano che non c’era più speranza per me».

Maria Antonietta Rositani racconta il suo calvario con la consapevolezza di essere una “miracolata”, continua a credere nell’amore anche se il suo, di amore, l’ha quasi uccisa. Quando, infatti, le sue denunce contro il marito violento sono rimaste in un cassetto delle forze dell’ordine per settimane, sapeva che lei e i suoi due figli avrebbero rischiato grosso, dopo aver cacciato il marito di casa. Ma lui, che ora è in carcere per tentato omicidio con una condanna a 18 anni, il 12 marzo 2019 già ai domiciliari dai genitori per maltrattamenti in famiglia ha percorso 500 km in auto da Ercolano fino in Calabria. «Mi ha speronato con la macchina mentre andavo a riprendere i miei figli a scuola – il ricordo di quel giorno – poi mi ha cosparso di benzina e mi ha dato fuoco gridando che dovevo morire!».

Di quel giorno ha impressi nella mente gli occhi impauriti dei figli, «ricordo che dicevo a me stessa che volevo vivere, dovevo vivere per loro, per non lasciare Annie e William orfani». Questa donna di 44 anni dai lunghi capelli bruni prova a descrivere anche una sensazione rassicurante di quei momenti, «quell’abbraccio che mi faceva fidare, che mi faceva credere che ce l’avrei fatta». Persino quando, durante un volo militare con cui è stata trasportata da Reggio Calabria a Bari al centro grandi ustionati, leggeva negli occhi degli infermieri che l’accompagnavano nel volo la rassegnazione di chi non ce l’avrebbe fatta. «Continuavo a ripetere: Signore sia fatta la tua volontà ». Anche durante i 22 mesi d terapia intensiva e nei più di 100 interventi a cui si è sottoposta da quattro anni a questa parte, «non mi sono mai sentita sola, ho sentito sempre la presenza di Dio». Continua a ripetere ai suoi figli e alla famiglia che non l’ha mai abbandonata che «la vita non è fatta solo di campi fioriti, ma se si vuole vederli bisogna credere di poterci arrivare».

E Maria Antonietta la sua “risurrezione” la sta vivendo adesso. Ha perdonato chi le ha fatto tanto male, anche se «ora ho paura di cosa potrà fare quando uscirà di prigione». Ha avuto l’aiuto di tante persone e per questo «nella disgrazia mi sento fortunata », a partire dalla sua famiglia che si è indebitata per farla curare, dall’associazione Salvamamme che le ha permesso di essere da sette mesi una nonna piena di attenzione per sua nipote, Women for Women against Violence che le ha conferito il premio Camomilla Award, garantendo concretamente la prosecuzione delle cure e coordinando gli aiuti che arrivavano per Maria Antonietta tramite i parntner del Premio stesso, il centro medico Acaia a Roma dove ultimamente si sta curando grazie a un crowdfunding.

Ma ora continua ad aver bisogno di sostegno, per sopportare i costi delle nuove cure. «Solo la crema da utilizzare per ridurre le cicatrici da ustioni sulle gambe – spiega – ha un costo proibitivo. Ma io non posso permettermelo visto che non lavoro, non ho l’aiuto per le vittime di violenza perché il processo nei confronti del mio ex non è ancora in Cassazione, in più manca la fragranza di reato, anche se il video di quando sono stata arsa viva è virale online». Non vuole nemmeno scegliere se far mangiare il figlio o mandarlo a calcetto e curarsi, ma non potendo ancora lavorare è complicato arrivare a fine mese.

«Mi piacerebbe finalmente esercitare la professione per cui ho studiato, l’infermiera – è il desiderio più grande di questi mesi – per dimostrare che ci si può rialzare sempre nella vita». Ora nella testa di Maria Antonietta c’è, inoltre, la volontà di incontrare papa Francesco, «per ringraziarlo del rosario che mi ha fatto recapitare a luglio 2020, che porto sempre al collo, e delle sue preghiere, per gioire con lui della grazia di vivere di nuovo che mi è stata concessa». Così come spera di poter aprire un centro a Reggio Calabria in cui aiutare le donne che hanno il coraggio di denunciare le violenze, «dare nonostante tutto il messaggio che bisogna credere nelle istituzioni e avere la forza di spezzare le catene da rapporti malati e violenti. Perché uscirne si può e, soprattutto non si è da sole».