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Missione Mediterranea. In mare tra le barche fantasma. Partenze da Libia e Tunisia

Nello Scavo, inviato a bordo della Missione Mediterranea sabato 6 ottobre 2018

Il rimorchiatore Mare Jonio subito prima della partenza per la missione Mediterranea (Ansa)

Vista dal mare è tutta un’altra storia. Da Pantelleria al Golfo della Sirte, tre giorni di navigazione attraverso burrasca e tempeste, mettono di fronte a due sfide: la paura e i fatti. E i fatti dicono che dalla Libia si parte ancora, e ancora si muore. Sostenere il contrario è un falso. Nelle ultime 48 ore la flottiglia umanitaria di "Mediterranea" (quattro barche in tutto) ha ricevuto due chiamate d’emergenza, intercettato un barchino partito dalla Tunisia, e raccolto diverse segnalazioni.

Le parole d’ordine sono: monitoraggio, racconto, denuncia. E i risultati sono arrivati prima del previsto. Da anni i guardacoste maltesi non si fiondavano avanti tutta per recuperare migranti salpati dalla Libia. È bastato che le navi umanitarie fossero in zona, perché da La Valletta partisse l’ordine del soccorso immediato, recuperando circa 120 persone. Non è l’unico segnale arrivato dall’avvio dell’operazione che il vicepremier Luigi Di Maio ha definito di "sentinelle civiche". Una sintesi che in fondo non è spiaciuta ai promotori e all’equipaggio della missione a guida italiana che riporta testimoni laddove si cerca di occultare i drammi.

Da mesi il centro di coordinamento e soccorso de La Valletta non inviava i "navtext", l’avviso urgente ai naviganti che ordina a tutti i vascelli in una certa area di precipitarsi a salvare dei naufraghi. Ma alle 16.20 di ieri la radio della Mare Jonio, il rimorchiatore di "Mediterranea" salpato da Augusta il 4 ottobre, ha ricevuto il primo Sos. Un gommone con almeno 120 persone è stato segnalato in "imminente distress".

Neanche il tempo di mettere la prua nella direzione indicata dalla Guardia costiera che una motovedetta Maltese è giunta nell’area intercettando i migranti che verranno sbarcati nell’isola che da anni si rifiutava di accogliere naufraghi ma che nelle ultime settimane ha lavorato nelle sedi Ue per ottenere, a differenza dell’Italia, l’automatica redistribuzione dei migranti.

In un caso una motovedetta libica ha intercettato un gommone e riportato nei campi di prigionia governativi circa 30 persone. Un barchino con 12 tunisini lo abbiamo raggiunto dalla barca a vela "Burlesque", con cui abbiamo navigato fino al limitare delle acque di pertinenza libiche, prima di trasbordare sulle due ammiraglie: Astral, il veliero di Open Arms, e "Mare Jonio", il rimorchiatore di Mediterranea.

Quando lo skipper ha contattato Malta per chiedere istruzioni, da La Valletta è arrivato il solito invito a lasciar perdere. Molti dei tunisini parlavano italiano, segno che non sono alla prima traversata verso Lampedusa. Di tornare a Zarzis, il porto più vicino, non ne hanno voluto sapere. Quando gli abbiamo chiesto se altri fossero partiti con loro, hanno risposto con un sorriso che vale più di un sì. Il tempo di rimettere in acqua l’elica e li abbiamo visti sparire tra le onde in lontananza, in direzione Nord, verso la burrasca che funestava la rotta su Lampedusa. Di loro non c’è notizia.

Se non si sono aggiunti ai tanti "sbarchi fantasma" delle ultime settimane, è probabile che le loro famiglie non avranno mai più loro notizie. Nelle stesse ore la Guardia costiera della Tunisia ha intercettato e "salvato dall’annegamento" 16 tunisini di età compresa tra 16 e 42 anni. Lo ha riferito il sito dell’emittente Radio Mosaique, citando un comunicato del ministero della Difesa di Tunisi, secondo il quale l’operazione è stata effettuata 75 chilometri al largo delle isole Kerkenna.

«Le rinnovate violenze in Libia si sono riversate in modo significativo in Tunisia, dove migliaia di libici si sono diretti a sfuggire agli scontri armati in corso», informa una nota della Mezzaluna Rossa tunisina che ha stabilito una base operativa nell’area di frontiera. Un passaggio assai battuto anche dai trafficanti di uomini. Che stanno spostando i flussi sulle coste del Paese da cui è ripreso massicciamente il business delle vite a perdere, sia verso l’Italia che, più a ovest, in direzione della Spagna.

Già durante le prime ore di navigazione Mare Jonio aveva ricevuto dall’aereo di ricognizione Colibrì di Pilotes Volontaires la segnalazione di un gommone in difficoltà a 78 miglia dalla Libia, con a bordo tra le 20 e le 40. La guardia costiera libica è arrivata poco dopo e «in conseguenza degli accordi tra l’Italia e la Libia, altre persone naufraghe non sono state accompagnate in un porto sicuro come prevedrebbero invece tutte le norme giuridiche, oltre che morali, che pongono la tutela dei diritti fondamentali sopra ogni cosa», dicono da Mediterranea. «Denunciamo quindi, stando a tutti i dati raccolti, che sono state invece forzatamente ricondotte a soffrire in un Paese – è la denuncia – dove troveranno solo violenza. Saranno nuovamente imprigionate, ricattate, sottoposte a condizioni inumane».

Sulla Mare Ionio, che ha ottenuto il certificato di classe per rimorchio, assistenza e soccorso in mare, ci sono oltre ai volontari, 7 marittimi professionali (6 su 7 siciliani, con alle spalle anni di navigazione nel Mediterraneo) e sempre 6 su 7 sono in possesso del più avanzato certificato "Mams" che abilta al soccorso in mare, 4 di loro hanno peraltro avuto esperienza di soccorso di naufraghi mentre erano su navi commerciali nel Canale di Sicilia, quanto ai volontari, 2 hanno partecipato a missioni Sar, tra cui il parlamentare Erasmo Palazzotto, già imbarcato su Open Arms, e 4 hanno esperienza di guida dei gommoni veloci per il pronto intervento in qualsiasi condizione. Le dotazioni di Mediterranea, per quanto la nave abbia più di quarant’anni di navigazione alle spalle, comprendono 2 battelli autogonfiabili per 40 persone, salvagenti e giubetti per 300, una postazione medica, e scorte in grado di assistere fino a 120 persone per dieci giorni.

Le dichiarazioni di Matteo Salvini, secondo cui l’intera missione non sarebbe altro che una operazione "scalcagnata" dei centri sociali che al massimo prenderanno "tre merluzzi", non ha riscosso interesse né reazione da Mediterranea. Unica voce a levarsi è quella del giornalista Maso Notarianni, del consiglio nazionale di Arci: «Se devo dire la verità, ho smesso di mettere piede nei centri sociali prima di quando a Milano cominciava a frequentarli un giovane Matteo Salvini». Nient’altro. A parte un marinaio siciliano che al ministro dell’Interno vorrebbe far sapere che nel Mediterraneo non ci sono merluzzi. (Il merluzzo è una specie ittica del Nord Atlantico. Nel Mediterraneo si pesca il nasello, talvolta chiamato merluzzetto, ndr)

Al tramonto, mentre le increspature del blu preannunciano vento e i bicchieri sbatacchiano da una parte all’altra, i ragazzi venuti dalle associazioni, dai movimenti, anche dalle parrocchie, hanno ancora energia per mettere a punto un’altra notte da sentinelle, sperando che il Mediterraneo, stanotte, sia un mare senza altre vite perdute.

Leggi il primo articolo di questo reportage del nostro inviato Nello Scavo