Attualità

Napoli. Il piccolo Giuseppe ucciso a botte: maestre e preside citate in giudizio

mercoledì 13 novembre 2019

Così il quartiere ricordava il piccolo Giuseppe (Archivio Ansa)

Non hanno denunciato. Hanno tenuto le segnalazioni nel cassetto, sperando che le botte a Giuseppe passassero da sole. Così le due maestre e la preside dell'istituto di Cardito (Napoli) che il piccolo di 7 anni, ucciso a botte dal padre il 27 gennaio di quest'anno, frequentava senza aver raccolto l'attenzione e l'amore che forse lo avrebbero potuto salvare, sono state citate a giudizio. Per loro il sostituto procuratore di Napoli Nord Paola Izzo ha ipotizzato il reato di "omissione di denuncia".

L'udienza si terrà davanti al giudice monocratico del Tribunale di Napoli Nord e non è ancora stata fissata.

La svolta è maturata dopo la raccolta di alcune testimonianze nelle quali si faceva riferimento alla circostanza che la sorellina di Giuseppe aveva raccontato alle maestre e alla preside delle violenze subite in famiglia. La piccola aveva chiesto aiuto e a confermarlo, davanti alla Terza Corte di Assise di Napoli dove è imputato Toni Essobti Badre e la compagna, mamma dei due bambini, per il solo reato di omessa vigilanza, è stata la neuropsichiatra infantile Carmelinda Falco, che ha visitato la sorellina di Giuseppe quando era ricoverata nell'ospedale Santobono di Napoli.

La dottoressa Falco, consulente in neuropsichiatria infantile della Procura, ha ricordato le frasi che la bimba le ha riferito in occasione di un incontro protetto: "Cosa dicevi alle maestre? E la bimba ha risposto: dicevo chiama i carabinieri e non li hanno chiamati".

La neuropsichiatra, che è testimone dell'accusa nel processo in corso a Napoli, oggi in aula ha anche rivelato alcuni particolari del racconto della bambina sui maltrattamenti subiti. Vere e proprie torture: tentativi di annegamento,

Quanto alla madre, la piccola sopravvissuto ha riportato solo reazioni verbali alle botte del patrigno: ("Basta, li stai uccidendo"), ma mai una difesa fisica attiva dei suoi figli.

Tra le parti civili al processo ci sono Telefono Azzurro e l'associazione Akira, rappresentate dall'avvocata Clara Niola.